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sabato 17 maggio 2008

"L'uomo che non credeva in Dio" di Eugenio Scalfari: un Montaigne con barba e capelli bianchi

"Il fondamento della morale, per dirla tutta, è una gran buffa e complicata questione, una spina acuminata e sottile che ci punge dentro e ci obbliga a fare i conti con la nostra passeggera felicità".
Mi unisco al fitto novero di quelli che hanno letto con interesse e piacere l'ultimo volume di Eugenio Scalfari, il fondatore di "Repubblica" ma anche e soprattutto il filosofo e teologo cresciuto alla scuola di Montaigne. Difatti quella di "pensare", per quel che traspare e per quel che dichiara nei tredici capitoli - che si leggono con sempre più vivo interesse, e fin da subito - è una sorta di necessità percepita nell'infanzia e mai più dismessa, perchè mai più soddisfatta e sempre imperante.
Allora è la "non-professionalità" del filosofo e del teologo Scalfari a rendere, se possibile, il suo discorso più interessante rispetto a quanto si potrebbe leggere in un volume di teoresi, di morale o di teologia mistica: ed è Cartesio, e non Montaigne, il campione della razionalità che Scalfari racconta di aver abbracciato sin da quando era compagno di banco, al Liceo Classico di Sanremo, di Italo Calvino - l'altro razionalista sui generis - e un professore di filosofia impose, proprio per mezzo di Calvino, la lettura integrale dei testi maggiori di Cartesio; e fu l'amore e la passione per la ragione.
Eppure non è questa la cifra unica e singolare di questa "autobiografia spirituale" che è il racconto anche della storia d'Italia dal 1924 ad oggi: capita un'impressione simile nell'ultimo romanzo del padre del nouveau roman, Alain Robbe-Grillet (nato due anni prima di Scalfari, nel 1922 e morto il 18 febbraio di quest'anno), che si intitola Dans le labyrinthe (uscì per Einaudi nel 1959 con il titolo Nel labirinto ed è l'ultimo scritto prima di affiancare anche la carriera di cineasta).
Lì si legge nelle pagine iniziali una minuziosa descrizione dell'immagine lasciata da un posacenere spostato su un mobile, la vita di un oggetto che ha "liberato" l'impronta in negativo della polvere sul piano in cui si è trovato a vivere; nel libro di Scalfari la sapienza è quella di non intervenire pesantemente, di non nascondere nulla ma facendo emergere il racconto come fosse il negativo di una polvere che si è posata sul piano della sua vita.
Nulla di patetico, né di vagamente ciranesco - l'opera di Rostand si chiude appunto con una immagine simile, che riguarda la polvere e viene affidata a De Guiche -: il fatto è che Scalfari dice senza remore "Adesso che sono vecchio ho altri pensieri".
Fra le tante recensioni dell'opera preferisco rimandare a quella neutra dell'editore, Einaudi, che si legge a questa pagina.

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