Quando l'affascinantissimo volume di Eric Hobsbawm dal titolo Age of Extremes - The Short Twentieth Century 1914-1991 uscì nel 1994 (in Italia ha dato anche spunto ad una sorta di categoria storiografica come quella di "secolo breve" stante il titolo della sua traduzione del 1999, Il Secolo breve - 1914-1991: l'era dei grandi cataclismi), la lettura serissima e per certi versi in tutto condivisibile del Novecento proposta dallo storico britannico era stata in un certo senso preparata da un altro volume storiografico (non equiparabile - positivamente o negativamente) e profetico. Si tratta di The End of History and the last man di Francis Fukuyama, che fu pubblicato nel 1992, e che ha quasi nello stesso modo indotto alla creazione di una categoria come quella di "fine della storia".
Se il primo viene dal rigore ricostruttivo e interpretativo di Meinecke e della storiografia tedesca dell'Ottocento (non propongo una analisi puntuale delle tesi di Hobsbawm, né delle argomentazioni, ovviamente), il libro di Fukuyama sembra più legato all'esperienza di uno storico ingiustamente dimenticato come Arnold Toynbee, anch'egli antichista di formazione come il politologo nippoamericano.
La storia, s'è visto (e i dubbi potevano, nel 1992/1994, giustamente esistere) è continuata, senza curarsi troppo delle interpretazioni - e non vi sia polemica fasulla e zoppicante: i poli sono stati scompaginati e gli equilibri si sono stabilizzati verso un'ulteriore decadenza di modelli ormai invecchiati che adesso portano a immagini di catastrofi nella cultura di massa, a insabbiamenti (anche fisici) di rifiuti e a nuove mura e nuove separazioni. Quasi fosse una nuova forma di colonialismo - quella che si propone di usurpare gli ultimi luoghi incontaminati del pianeta, prima che le popolazioni povere si accorgano del misfatto.
Eppure non sfugga che il "secolo breve" del Novecento si apre e si chiude nel segno di un "secolo aereo", dominato dal progetto di Icaro, e come questo - per amor di mito e letteratura - caduto.
Non si tratta di individuare il valore inestimabile dell'aeronautica in tutti gli ambiti della vita del Novecento: sarebbe un'operazione di autoevidenza.
Ma è nel 1918 che si apre un secolo, e questo si chiude nel 2001: il maggiore Gabriele D'Annunzio sorvola con una squadriglia di aeroplani la città di Vienna e crea il primo attentato terroristico condotto con mezzi aerei, lanciando centinaia di migliaia di volantini sulla popolazione. Nei due messaggi scritti su quei fogli di carta (uno dello stesso D'Annunzio, più blando; un altro, molto più diretto e brutale, di Ugo Ojetti - si leggono a questa pagina) si intravvede la fiducia ardita nelle nuove tecnologie, la genialità comunicativa del gesto militarmente mancato, e per questo molto più efficace.
L'attacco alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York l'11 settembre 2001 è la conclusione di una logica intesa e fatta scaturire da D'Annunzio: non è tanto la morte di migliaia di persone né la contemporanea pretesa di attacco all'edificio del Pentagono - la potenza militare statunitense, occidentale - ma l'attacco al simbolo della Torre di Babele, dunque il potere tronfio che i terroristi hanno letto in chiave religiosa.
Un simile caso di attacco al simbolo può essere rinvenuto facilmente nella madre delle rivoluzioni, la presa della Torre della Bastiglia che segnò lo scoppio ufficiale della Rivoluzione Francese - ma allora si aggiungono tutte le torri e colonne fatte cadere, dalla Colonna di Austerlitz abbattuta a Place Vendôme a Parigi durante la Comune del 1871 (quella che costò cara al pittore Courbet, ingiustamente accusato del fatto) a quella colonna fallica come la statua di Saddam Hussein all'entrata dei soldati a Baghdad - abbattuta in diretta mondiale il 9 aprile 2003.
Ma sono quindi gli aerei ad aprire e chiudere il secolo, da questo punto di vista insieme storico e latamente culturale e simbolico: anche la mondovisione dell'abbattimento della statua di Saddam è figlia della diretta delle Torri Gemelle, così come delle immagini del Muro di Berlino con le pompe ad acqua dell'esercito e di Mstislav Rostropovič che suona Bach fra i berlinesi.
Il secolo aereo aggiunge al simbolo la violenza, che non è più puramente di azioni, ma di pensieri: quello sconvolgimento che chiamiamo terrore.
Se il primo viene dal rigore ricostruttivo e interpretativo di Meinecke e della storiografia tedesca dell'Ottocento (non propongo una analisi puntuale delle tesi di Hobsbawm, né delle argomentazioni, ovviamente), il libro di Fukuyama sembra più legato all'esperienza di uno storico ingiustamente dimenticato come Arnold Toynbee, anch'egli antichista di formazione come il politologo nippoamericano.
La storia, s'è visto (e i dubbi potevano, nel 1992/1994, giustamente esistere) è continuata, senza curarsi troppo delle interpretazioni - e non vi sia polemica fasulla e zoppicante: i poli sono stati scompaginati e gli equilibri si sono stabilizzati verso un'ulteriore decadenza di modelli ormai invecchiati che adesso portano a immagini di catastrofi nella cultura di massa, a insabbiamenti (anche fisici) di rifiuti e a nuove mura e nuove separazioni. Quasi fosse una nuova forma di colonialismo - quella che si propone di usurpare gli ultimi luoghi incontaminati del pianeta, prima che le popolazioni povere si accorgano del misfatto.
Eppure non sfugga che il "secolo breve" del Novecento si apre e si chiude nel segno di un "secolo aereo", dominato dal progetto di Icaro, e come questo - per amor di mito e letteratura - caduto.
Non si tratta di individuare il valore inestimabile dell'aeronautica in tutti gli ambiti della vita del Novecento: sarebbe un'operazione di autoevidenza.
Ma è nel 1918 che si apre un secolo, e questo si chiude nel 2001: il maggiore Gabriele D'Annunzio sorvola con una squadriglia di aeroplani la città di Vienna e crea il primo attentato terroristico condotto con mezzi aerei, lanciando centinaia di migliaia di volantini sulla popolazione. Nei due messaggi scritti su quei fogli di carta (uno dello stesso D'Annunzio, più blando; un altro, molto più diretto e brutale, di Ugo Ojetti - si leggono a questa pagina) si intravvede la fiducia ardita nelle nuove tecnologie, la genialità comunicativa del gesto militarmente mancato, e per questo molto più efficace.
L'attacco alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York l'11 settembre 2001 è la conclusione di una logica intesa e fatta scaturire da D'Annunzio: non è tanto la morte di migliaia di persone né la contemporanea pretesa di attacco all'edificio del Pentagono - la potenza militare statunitense, occidentale - ma l'attacco al simbolo della Torre di Babele, dunque il potere tronfio che i terroristi hanno letto in chiave religiosa.
Un simile caso di attacco al simbolo può essere rinvenuto facilmente nella madre delle rivoluzioni, la presa della Torre della Bastiglia che segnò lo scoppio ufficiale della Rivoluzione Francese - ma allora si aggiungono tutte le torri e colonne fatte cadere, dalla Colonna di Austerlitz abbattuta a Place Vendôme a Parigi durante la Comune del 1871 (quella che costò cara al pittore Courbet, ingiustamente accusato del fatto) a quella colonna fallica come la statua di Saddam Hussein all'entrata dei soldati a Baghdad - abbattuta in diretta mondiale il 9 aprile 2003.
Ma sono quindi gli aerei ad aprire e chiudere il secolo, da questo punto di vista insieme storico e latamente culturale e simbolico: anche la mondovisione dell'abbattimento della statua di Saddam è figlia della diretta delle Torri Gemelle, così come delle immagini del Muro di Berlino con le pompe ad acqua dell'esercito e di Mstislav Rostropovič che suona Bach fra i berlinesi.
Il secolo aereo aggiunge al simbolo la violenza, che non è più puramente di azioni, ma di pensieri: quello sconvolgimento che chiamiamo terrore.
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