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venerdì 9 maggio 2008

"Signatura rerum. Sul metodo" di Giorgio Agamben

Il Novecento è stato il secolo in cui, più degli altri, non solo si è meditato sul metodo, ma anche e forse in maniera più cospicua, sul metodo da applicare - o meno - al "metodo" stesso; producendo quindi delle metodologie. Per fare solo qualche accenno sparso ed episodico - anche se illuminante - si va dal "Metodo delle scienze storico-sociali" di Max Weber, che uscì postumo nel 1922, al caposaldo riconosciuto in modo unanime dell'ermeneutica filosofica del secolo scorso, le due tappe di "Verità e Metodo" uscite nel 1960 e negli anni successivi dalla penna e dalla riflessione di Hans Georg Gadamer. Ma si passa per la filosofia della scienza di Imre Lakatos e il suo capolavoro del 1970, "La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifica", per approdare perfino ad un "anarchismo metodologico" come quello teorizzato da Paul Feyerabend nel suo "Contro il metodo", che uscì nel 1975.
Non è certo un resoconto completo di quel che possa sorgere esaminando la storia culturale del secolo passato nei campi più disparati sotto la voce "metodo": ma questo piccolo elenco potrebbe indicare un breve retroterra che attornia i tre saggi di Giorgio Agamben che sono raccolti in questo suo ultimo volume, che hanno un precedente di riferimento che viene dalle scienze filosofiche e sociali come quello di Michel Foucault, che nel 1969 pubblicò il "L'archeologia del sapere e la riflessione sul linguaggio".
In 110 densissime pagine, Agamben parte dal saggio "Che cos'è un paradigma?", che fa incontrare e scontrare Platone con Kuhn e Foucault, passa al capitolo "Teoria delle segnature", che ispira il titolo complessivo riferendosi alla signatura rerum di Paracelso e di Jakob Böhme, e arriva nuovamente a Foucalt nell'ultimo saggio intitolato "Archeologia filosofica".
Ricchissimo di intelligenza delle cose, di spunti e di confronti, questo volume sul metodo si cala prontamente nel metodo per portarne alla luce gli elementi nascosti, quelli che divengono dannosi se non sono chiaramente presi in considerazione ed esaminati.
Difatti, a pensare cosa sia, almeno etimologicamente, il metodo, si vede che esso viene dal termine greco methodos, letteralmente "tragitto, percorso", nel senso di "via che porta oltre".
Ma se metà, "oltre", e hodos, "via, cammino", significano questo, nulla toglie che si possa pensare al termine "metodo" come al termine "metafisica" - l'altro grande caposaldo del pensiero occidentale: allora quel tragitto, è il passaggio che può portare "oltre la via", "oltre la natura" del metodo stesso, dunque al di là delle imposizioni, inevitabili ma non incoercibili.
Quanto questo possa esser vero in un ambito intrigante come quello della riflessione filosofica, è fuor di dubbio; quanto invece sia necessario e imprescindibile - e il libro si presta anche ad una lettura trasversale di questo tipo - per la letteratura e la teoria che la accompagna, è importante sottolineare, per comprendere l'aspetto stimolante della meditazione del pensatore.
Una scheda sul volume di Giorgio Agamben si trova a questa pagina dell'editore, che è Bollati Boringhieri.

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