Se per Itaca volgi il tuo viaggio, / fai voti che ti sia lunga la via, / e colma di vicende e conoscenze... (Konstantinos Kavafis)

lunedì 28 aprile 2008

La mostra "Luce" di Pino Pedano a Milano

Pare una coincidenza, eppure questo blog è aperto da qualche giorno, e da poche settimane è stata aperta a Milano (nella chiesa di Santa Maria Annunciata) la mostra "Luce" dello scultore messinese Pino Pedano (è di Pettineo).
Il fatto è che Pedano non è uno di quegli scultori rimasti in Sicilia a modellare il legno: la sua intelligenza e la sua inventiva l'hanno portato già dagli anni '70 del secolo scorso in tutto il mondo. Se poi si aggiunge una installazione luminosa a dialogare con i volumi in legno delle dodici sculture, e si aggiunge pure che questa "scultura di luce" è l'ultima opera dello statunitense Dan Flavin, si capisce come il fatto che la mostra sia stata voluta anche da un teologo dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, non sia altro che un ulteriore tassello di eccezionalità e di importanza per l'occasione e i pensieri che vi sono dietro.
A guardare la Rete si trovano alcune belle recensioni: io segnalo solo l'articolo a questa pagina e con piacere il sito personale del maestro Pino Pedano.

domenica 27 aprile 2008

Riflessioni su "Opfer" di Rainer Maria Rilke

Nei Neue Gedichte ("Nuove Poesie") di Rainer Maria Rilke, quasi all'inizio della raccolta, si legge un componimento dal titolo Opfer, che in italiano vale "offerta" o "sacrificio". Sono tredici versi.

Opfer
O wie blüht mein Leib aus jader Ader
duftender, seitdem ich dich erkenn;
sieh, ich gehe schlanker und gerader,
und du wartest nur -: wer bist du du denn?

Sieh: ich fühle, wie ich mich entferne,
wie ich Altes, Blatt um Blatt, verlier.
Nur dein Lächeln steht wie ein lauter Sterne
über dir und bald auch über mir.

Alles was durch meine Kinderjahre
namenlos noch und wie Wasser glänzt,
will ich nach dir nennen am Altare,
der entzündet ist von deinen Haare
und mit deinen Brüsten leicht bekränzt.

Offerta
O, come fiorisce il corpo mio più aulente
da ogni vena, da quando io ti conobbi;
ecco, vedi: più agile e diritto io vado,
e tu soltanto aspetti - ma chi sei, dunque?

Ecco, vedi: quando mi allontano percepisco
come io perda, a foglia a foglia, quel che fu una volta.
Ma adesso il tuo sorriso splende più delle stelle
su di te, e anche su di me fra un poco ancora.

Tutto quel che senza nome alcuno dai miei anni
infantili splende ancora come l'acqua,
a te lo dedicherò sull'altare, col tuo nome,
l'altare che avvampa dentro la tua chioma
e ha corona leggera fra i tuoi seni.

Fa pensare ad una sensibilità intessuta di ori e verde di foglie, questo componimento - ma non vi è ancora nulla delle immagini estenuate di Klimt, ad esempio. Non rimane più la suggestione di Dante Gabriel Rossetti, ma nemmeno si può ravvisare il viaggio a ritroso di Des Esseintes - ancora non decade nulla.
Allora questo canto potrebbe essere dedicato all'amicizia? Forse, potremmo pensare ad un ultimo guizzo di Hölderlin rivissuto dal boemo Rilke - eppure viene un ricordo di Musil, di un brano dall'Uomo senza qualità:
"Ulrich non aveva mai potuto soffrire quel piano a coda sempre aperto che digrignava i denti, quell'idolo dal muso schiacciato e dalle gambe corte, quell'incrocio fra un bassotto e un mastino che dominava la vita dei suoi amici e persino i dipinti alle pareti e le linee scarne e affusolate dei mobili d'arte; anche il fatto che non avevano domestica ma soltanto una donna a mezzo servizio per cucinare e scopare rientrava nel quadro. Fuori delle finestre i vigneti salivano con gruppi di vecchi alberi e casette sbilenche verso i turgidi boschi, ma vicino tutto era spoglio, disorganico, isolato e corroso come accade dove le periferie delle grandi città si spingono dentro la campagna. Fra le scabre adiacenze e l'amabile paesaggio lontano, lo strumento tendeva il suo arco; lucido e nero, scagliava fuori di quelle pareti colonne infuocate di dolcezza ed eroismo che, ridotte a impalpabile cenere di suoni, poche centinaia di passi più in là cadevano al suolo senza fra l'altro raggiungere la collina di pinastri, con l'osteria a metà strada del bosco."
Qui la musica del pianoforte vale per gli anni di giovinezza della poesia di Rilke: solo quel che rimane può essere dedicato all'amata sull'altare dell'Amore - e questo ormai è poco, perchè "non giunge" a farsi sentire dalla società (l'osteria). La ragione è che non brilla più come l'acqua, e ha invece accumulato dentro di sé la cenere: è l'amata a far divampare l'altare, non certo il fuoco alimentato dai sacrifici che vi si pongono.

sabato 26 aprile 2008

Educare, Formare, Costruire

Uno dei saggi/conferenza del secondo dopoguerra di Martin Heidegger si intitola "Costruire, abitare, pensare" (l'anno è il 1951) - la tesi è quella che vi sia un rapporto ben più profondo, per l'uomo, che quello di costruire per abitare; quello cioè che le forme usate e prodotte dall'uomo per "abitare" siano anzitutto un riflesso di strutture di pensiero e di adattamento alla vita "sul" mondo e "nel" mondo, quindi dell'Essere-nel-mondo, che è uno dei temi fondanti della filosofia di Heidegger.
Col mio titolo non voglio affatto scimmiottare la terna sapiente del pensatore tedesco, né voglio cercare di proporre chissà quale novità: mi sono sentito stimolato da un metodo di analisi e riflessione che però viene proprio da Heidegger e prima di lui da una lunga e vivace tradizione italiana che fa capo a Giambattista Vico, e conduce poi a Nietzsche e ad un contemporaneo affascinante di Heidegger come Carl Schmidt - quella di riscoprire percorsi di pensiero attraverso la "storia delle parole", che è un connubio di etimologia, storia della lingua e archeologia del pensiero.
Allora, pensando il campo di significati della educazione (scolastica e non), saltano prontamente all'attenzione almeno tre termini.
Educare, che significa alla lettera "condurre fuori" rispetto ad uno spazio già dato - viene dal latino "ex-ducere": è la forma più primitiva (nel senso dell'evoluzione e del tempo dell'azione) del rapporto che lega un maestro ad un discepolo. Si educa qualcuno alle regole di comportamento, a quelle di sopravvivenza come a quelle della scrittura o del calcolo.
Eppure solo su questo si può cercare di formare una persona: si modella il carattere e il corpo con degli esercizi, con delle pratiche, si fortificano i risultati con delle abitudini e si favoriscono già delle tendenze a modellarsi da soli, secondo le proprie curiosità.
Ecco perchè l'ultimo concetto, quello di costruire - come fosse un'architettura - una persona, ha un valido rappresentante nel termine tedesco Bildung, che viene da Bild, l' "immagine". A cercare su un dizionario bilingue si vede la traduzione come "erudizione, cultura", edè una cosa che riguarda appunto il fatto di non essere grezzi - rudi, da cui appunto ex-rudire, e l'italiano erudizione. Ma il non essere grezzi, non appartenere al gregge di chi non si distingue perchè non ha immagine, è proprio il fine che si dovrebbe attendere quando ci si forma e ci si educa.

venerdì 25 aprile 2008

"Dentro la cornice" di Enrico de Pascale e Chiara Gatti

Mi è capitato fra le mani, dopo una breve discussione con un agente librario, il volumetto molto bello e utile dal titolo Dentro la cornice. Il sistema dell'arte ieri e oggi, curato da Enrico de Pascale e Chiara Gatti, che è edito da Bruno Mondadori Arte (costa € 7,50).
Pieno zeppo di immagini, di interviste sapienti e organizzato in sezioni chiare e efficaci sulla filosofia e la pratica artistica, il collezionismo, il valore delle gallerie e delle mostre, le tecniche di esposizione delle opere e una riflessione interessante sulle aste e sui prezzi che vi si raggiungono, questo volume di un centinaio di pagine, oltre che un utile strumento per studiare (a scuola e da soli), mi pare anche un modo fresco e divertente per far scendere l'Arte dalla Torre d'Avorio dove è salita, e tornare a sentirla - come giustamente dovrebbe essere - un prodotto del pensiero degli uomini. Quindi un modo per non aver timore di avvicinarsi a opere grandi e famose e celebrate o dirompenti e innovative, cariche di contraddizioni e di spirito - e infine anche per comprendere dove si trovano le fandonie e dove invece le perle.
Da queste parti il link verso la pagina della casa editrice sull'opera di De Pascale e Gatti.

giovedì 24 aprile 2008

Viaggiare

Aprire un blog con un titolo e un post impegnativi spesso significa bruciare tutte le cartucce subito, e non avere molto più da aggiungere in seguito - e magari sarà così anche in questo mio caso.
Il fatto è che questo pomeriggio, ascoltando la scrittrice Enza Buono su Fahrenheit, un programma pomeridiano di Rai Radio3, l'ho sentita esprimersi in maniera molto precisa e affascinante sul viaggio, sul ritorno a casa e su come si debba intendere lo sradicamento.
La signora Buono, che pur essendo nata in Sicilia si è trasferita in Puglia da bambina e abita ancora a Bari, ha pubblicato un romanzo "famigliare" (di cui ha parlato appunto nella trasmissione) e ha ricordato come non si possa tornare da turisti in Sicilia, se si è nati lì e ci si è allontanati per un certo periodo. Diceva "Non si hanno più parenti".
Mi è sembrata una frase forte, e l'ho compresa come l'affermazione di una donna che è rimasta sostanzialmente fuori dalla Sicilia per tutta la sua vita - e quindi che ha visto l'isola dal punto di osservazione interiore che è il ricordo della madre, le memorie comuni e anche i luoghi comuni, le immagini catturate dalle fotografie o dai film, ma non dagli occhi.
Io ho pensato però che in realtà, nessun viaggio è realmente utile, realmente pieno di senso: spesso viaggiare significa riempire con una nuova esperienza un periodo di "vacanza" - di vuoto, cioè - rispetto alle attività normali, che fanno il pieno. Allora le esperienze di viaggio, di qualche giorno, di settimane o mesi, presupponendo un ritorno, modellano solo una superficie.
Riguardando la "pelle", le persone e i paesaggi osservati si fissano dentro di noi come se fossero proiettate su uno schermo: ecco perchè fa più frutto, da questo punto di vista, chi come Emilio Salgari, che creava i suoi mondi asiatici e lontani per Sandokan utilizzando cartine geografiche e fantasia, cioè lo strumento della mente che ordina i particolari e ne estende le relazioni per ampliare l'orizzonte della conoscenza, viaggia anche con la mente.
Eppure la nostra cultura occidentale pare sia modellata sulla intemperante necessità di un viaggio, che fra l'altro si configura come un ritorno: è questo il nostos di Ulisse, un viaggio di ritorno verso casa, lento e difficoltoso.
A ben vedere però, quel viaggio, a parte la banalità della amplissima durata (che salta subito agli occhi e su cui si costruisce una vicenda affascinante), ha un motivo profondo e sottile che costruisce una vera filosofia del viaggio in Occidente, quella che spingerà gli esploratori del Rinascimento a conquistare il globo con le scoperte geografiche. Quel motivo è che per quanto lungo sia il viaggio e il ritorno, ogni volta a Ulisse si pone la prospettiva di non poter più tornare a casa.
Chi sa di poter tornare, usa il viaggio per riempire uno stacco, per riposare forse, dunque per una "vacanza", ancora una volta: ma Ulisse non sa se gli sarà consentito tornare. Lo spera, e questo riguarda però i sentimenti, e l'algia, il dolore che difatti associamo al suo nostos - ma non riguarda la ragione e il pensiero che organizza il presente per il futuro.
Se Ulisse avesse avuto certezza, sarebbe rimasto a Ogigia o con Circe, decidendo con calma se e quando tornare da Penelope; e ancor più fortemente, se fosse stato sicuro di restare, non sarebbe partito alla ricerca delle Esperidi, o del Purgatorio, come inventa splendidamente e genialmente Dante nella Commedia.
Per questo stesso motivo, Kostantinos Kavafis scrive nella sua Ulisse, "Fai voti che ti sia lunga la via", e augura al moderno inquieto viaggiatore di non disperare se il viaggio si prolunga oltre ogni limite dettato dal "diporto" - in ogni viaggio fatto senza speranza, si assaporano odori e sapori che finalmente entrano dentro il corpo e non si fermano sul limite che separa dentro e fuori, la pelle.
Ma quel viaggio ha bisogno di assoluto, ed è raro trovarlo.