tag:blogger.com,1999:blog-39103198804568636762024-03-06T04:02:25.262+01:00La Luce delle CosePensieri di luce sulle cose del mondoTommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.comBlogger54125tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-31701797523527953952022-07-01T14:00:00.003+02:002022-07-01T14:17:58.349+02:00Due conferenze di Massimo Cacciari a Siracusa: Euripide, Goethe, Spengler, Musil<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"> Il 29 e il 30 giugno del 2022 Massimo Cacciari ha tenuto due conferenze a Siracusa, nei pressi del Teatro Greco, dedicate entrambe ad alcuni "campioni" (in ogni senso) del pensiero occidentale: l'<i>Ifigenia in Tauride</i> di Euripide e l'<i>Ifigenia</i> di Goethe il 29 giugno; il <i>Tramonto dell'Occidente</i> di Oswald Spengler visto nella comparazione con <i>L'Uomo senza Qualità</i> di Musil giorno 30 giugno.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;">Ho scritto due brevi osservazioni sulle due conferenze, nella forma di scolii e piccole amplificazioni interpretative.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;">***</span></p><div data-block="true" data-editor="53m6" data-offset-key="5a3v0-0-0" style="background-color: white; color: #050505; white-space: pre-wrap;"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="5a3v0-0-0" style="direction: ltr; position: relative;"><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="3kshn-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="3kshn-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;">Ieri<span data-offset-key="3kshn-1-0"> pomeriggio [29 giugno, <i>ndr</i>], tra il frinire alternato delle cicale e il gran caldo del Teatro Greco di Siracusa, Massimo Cacciari ha condotto un dialogo serrato tra Goethe ed Euripide riguardo il plesso fondamentale della libertà e del nomos nelle "Ifigenie" di questi due autori fondamentali della cultura occidentale.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="cdiqg-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="cdiqg-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="cdiqg-0-0"><span style="font-family: helvetica;">Roberto Fai ed Elio Cappuccio, che hanno introdotto la lectio di Cacciari, hanno bene messo in rilievo non solo la poliedricità dello studioso, ma anche le stimolantissime amplificazioni che ne sono sorte, e che il tempo ben ristretto ieri per tutti i partecipanti ed il mio post oggi non consentono affatto di delineare.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="dk2ka-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="dk2ka-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="dk2ka-0-0"><span style="font-family: helvetica;">Stamattina leggevo con molto piacere e interesse un analogo post di Elvira Siringo, anche lei ieri fra il pubblico: Elvira ha con grande perspicacia evidenziato un "terzo assente" (ma presentissimo nel discorso tra Euripide e Goethe di Cacciari), che è Shakespeare, di cui lei è studiosa attenta.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="6oudc-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="6oudc-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="6oudc-0-0"><span style="font-family: helvetica;">E ieri fra le tante questioni che sono emerse, più di una ha evocato Gorgia da Leontinoi, non solo per i "dissoi logoi" richiamati più volte da Elio Cappuccio e da Massimo Cacciari.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="8e5q0-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="8e5q0-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="8e5q0-0-0"><span style="font-family: helvetica;">È Gorgia infatti che in un frammento di carattere estetico e dedicato al teatro (per la precisione, 82 B 23 DK) individua nella consapevole accettazione dell'inganno tragico la radice della saggezza: questa è la prima affermazione della "sospensione d'incredulità" che è alla base del "piacere" del testo e della letteratura e dell'arte, ma non propone né presuppone affatto una sospensione dell'intelligenza, ma anzi ne dichiara il superiore valore più che razionale.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="s7th-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="s7th-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="s7th-0-0"><span style="font-family: helvetica;">Me ne sono occupato in un breve saggio qualche anno fa, appunto dedicato a Gorgia ed alle sue radici indoeuropee.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="6aoat-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="6aoat-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="6aoat-0-0"><span style="font-family: helvetica;">Ma è proprio il mondo indoeuropeo che ad esempio è alla base anche della "metamorfosi anti-tragica" di Goethe più volte ricordata ieri: in un suo bellissimo studio del 1984, "Tragedy and After: Euripides, Shakespeare, Goethe", Ekbert Faas ha tutto un capitolo dedicato a "Goethe's Transcendence of Tragedy" in cui analizza attraverso le lettere indirizzate a Jacobi l'influenza profonda che ebbe il poeta indiano Kālidāsa su Goethe, ed in generale la poetica sanscrita contrapposta a quella aristotelica.</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="fgaqv-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="fgaqv-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="fgaqv-0-0"><span style="font-family: helvetica;">Ma anche un altro importantissimo saggio del 2009 di Markus Winkler, "Von Iphigenie zu Medea. Semantik und Dramaturgie des Barbarischen bei Goethe und Grillparzer", specie nel capitolo dedicato a "Humanisierung der Barbaren, Griechenland-Nostalgie und der Streit über Mythos und Menschenopfer", analizza e approfondisce il concetto che Cacciari ha più volte evocato parlando di Goethe ieri pomeriggio: quello della "rinuncia" come passaggio imprescindibile per il progresso dell'eroe tragico che "cadendo si compie".</span></span></div></div><div data-block="true" data-editor="5h48c" data-offset-key="cbi4g-0-0"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="cbi4g-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="cbi4g-0-0"><span style="font-family: helvetica;">Splendida conferenza davvero ieri.</span></span></div><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="cbi4g-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="cbi4g-0-0"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></span></div><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="cbi4g-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="cbi4g-0-0"><span style="font-family: helvetica;">***</span></span></div><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="cbi4g-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="cbi4g-0-0"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></span></div><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="cbi4g-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><span data-offset-key="cbi4g-0-0"><span style="font-family: helvetica;"><div data-block="true" data-editor="223ga" data-offset-key="elsmc-0-0" style="text-align: start;"><div class="_1mf _1mj" data-offset-key="elsmc-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;"><div class="kvgmc6g5 cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x c1et5uql ii04i59q" style="margin: 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: left;"><div dir="auto" style="text-align: justify;">Anche la seconda conferenza di Massimo Cacciari per il suo breve ciclo dedicato alla lettura di alcuni classici del pensiero occidentale è stata profondamente illuminante, surclassando il gran caldo afoso di Siracusa ieri pomeriggio, ancora nelle prossimità del Teatro Greco. Del resto, parlare del "Tramonto dell'Occidente" di Oswald Spengler, e passarlo al tornasole col Musil di "L'Uomo senza Qualità", non era certo tema da far diminuire la temperatura del discorso.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Nuovamente introdotta da Elio Cappuccio e Roberto Fai (che ha con decisione e perizia ragionato sulla temperie di "crisi e trasmutazione" di tutto il periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento, ed ha opportunamente ricordato gli ultimi studi che Cacciari ha dedicato a Max Weber e, recentissimo, proprio a Musil), la lectio ha allacciato diverse raffinate prospettive sul saggio culminante della cultura europea all'incrocio del "lungo diciannovesimo secolo" e del "secolo breve".</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Anche per la conferenza di ieri non ho affatto l'ardire di fornire una benché minima sintesi, ma mi permetto solo di aggiungere degli scolii: per gli amici che lo vorranno, sono disponibile a fornire la registrazione audio di entrambe le giornate, così che possano gustare da sé lo sviluppo del pensiero di Cacciari.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">In più riprese, nella parte centrale della conferenza, alcune allusioni sono state determinanti per lo sviluppo dell'argomentazione.</div></div><div class="cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x c1et5uql o9v6fnle ii04i59q" style="margin: 0.5em 0px 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: left;"><div dir="auto" style="text-align: justify;">In primo luogo, quando è stato detto più volte che per Spengler "Il Mondo è l'insieme dei casi", vale a dire dei "fatti" che significativamente Cacciari ha chiamato "Zufälle" (letteralmente, le "occasioni", come "Occaso" era già stato richiamato da Roberto Fai come il "nome-destino" dell'Occidente), ovviamente il pensiero è andato per molti alla prima proposizione del "Tractatus logico-philosophicus" di Ludwig Wittgenstein, "Die Welt ist alles, was der Fall ist", cioè "Il Mondo è tutto ciò che accade"; ma si potrebbe tradurre, restando ancor più aderenti alla lettera "Il Mondo è tutto ciò che è un caso".</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Da una parte Spengler che (ad esempio e nella gran messe di citazioni possibili) all'inizio dell'opera dice "Die Welt des Zufalls ist die Welt der einmalig-wirklichen Tatsachen, denen wir als Zukunft sehnsüchtig oder angstvoll entgegenleben, die uns als lebendige Gegenwart erheben oder bedrücken, die wir schauend als Vergangenheit mit Freude oder Trauer wiedererleben können. Die Welt der Ursachen und Wirkungen ist die Welt des Beständig-Möglichen, die Welt der zeitlosen Wahrheiten, die man zerlegend und unterscheidend erkennt", cioè "Il mondo del caso è il mondo dei fatti reali irripetibili, di quelli futuri verso cui la nostra vita, in desiderio o in angoscia, procede, di quelli che nel presente vissuto ci esaltano o ci abbattono, di quelli passati che meditando possiamo rivivere con gioia o con tristezza. Il mondo delle cause e degli effetti è il mondo del possibile e del costante, delle verità senza tempo conosciute analizzando e distinguendo".</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Dall'altra parte Wittgenstein, che al di là delle formulazioni lapidarie diversissime dal fluire metamorfico dello stile di Spengler, afferma: "Es erschiene gleichsam als Zufall, wenn dem Ding, das allein für sich bestehen könnte, nachträglich eine Sachlage passen würde. Wenn die Dinge in Sachverhalten vorkommen können, so muss dies schon in ihnen liegen. (Etwas Logisches kann nicht nur-möglich sein. Die Logik handelt von jeder Möglichkeit und alle Möglichkeiten sind ihre Tatsachen.) Wie wir uns räumliche Gegenstände überhaupt nicht außerhalb des Raumes, zeitliche nicht außerhalb der Zeit denken können, so können wir uns keinen Gegenstand außerhalb der Möglichkeit seiner Verbindung mit anderen denken. Wenn ich mir den Gegenstand im Verbande des Sachverhalts denken kann, so kann ich ihn nicht außerhalb der Möglichkeit dieses Verbandes denken", cioè "Parrebbe quasi un accidente se alla cosa, che potesse sussistere per sé sola, successivamente potesse convenire una situazione. Se le cose possono ricorrere in stati di cose, ciò deve già essere in esse.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">(Qualcosa di logico non può essere solo-possibile. La logica tratta di ogni possibilità, e tutte le possibilità sono i suoi fatti. )</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Come non possiamo affatto concepire oggetti spaziali fuori dello spazio, oggetti temporali fuori del tempo, così noi non possiamo concepire alcun oggetto fuori della possibilità del suo nesso con altri. Se posso concepire l’oggetto nel contesto dello stato di cose, io non posso concepirlo fuori della possibilità di questo contesto". In entrambi gli autori emerge prepotentemente quella "ragione probabilistica" che Cacciari ha evocato ieri.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Sarà lo stesso studioso, in un altro passaggio, ad affermare che per Spengler lo storico deve parlare soltanto dei fatti/casi, e per il resto deve tacere: limpida evocazione dell'ultima proposizione del "Tractatus", "Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere".</div></div><div class="cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x c1et5uql o9v6fnle ii04i59q" style="margin: 0.5em 0px 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: left;"><div dir="auto" style="text-align: justify;">In secondo luogo, quando Cacciari ha analizzato le posizioni di Spengler riguardo la crisi e la dissoluzione della forma-Stato come punto-evento culminante del destino dell'Occidente (e "destino", va detto, in tedesco è "Bestimmung" in quanto "determinazione", ma anche "Schicksal" in quanto appunto "casualità", "Zufall"), ha comparato le prospettive epistemologiche di Musil e di Spengler, facendo un rapido cenno alla intraducibilità già del titolo del romanzo di Musil. </div><div dir="auto" style="text-align: justify;">"Der Mann ohne Eigenschaften" in originale, "L'Uomo senza qualità" nella traduzione italiana: ma Cacciari ha ricordato che quella "Eigenschaft" è una "qualitas" in quanto è una "proprietas", il "proprium" di una persona, che – ormai fuori dalla concezione umanistica e illuministica – diventa a partire dalla massificazione della società nella seconda parte dell'Ottocento, la "proprietà economica".</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Evidente quindi che il pensiero sia andato a tradurre mentalmente l'opera di Max Stirner, uno dei fondatori del pensiero anarchico, intitolata "Der Einzige und sein Eigentum" e nota in Italia come "L'Unico e la sua proprietà", come invece "L'Unico e la sua Qualità", istituendo più di un confronto possibile con Musil e con Spengler.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Non è un caso che infatti quest'ultimo dica, in una delle due citazioni che nel "Tramonto dell'Occidente" dedica a Stirner, queste considerazioni sul "corpo sociale": "Die Aufmerksamkeit, welche der Stoiker dem eigenen Körper zuwendet, widmet der abendländische Denker dem Gesellschaftskörper. Es ist kein Zufall, daß aus der Schule Hegels der Sozialismus (Marx, Engels), der Anarchismus (Stirner) und die Problematik des sozialen Dramas (Hebbel) hervorgingen. Der Sozialismus ist die ins Ethische, und zwar ins Imperativische umgewandte Nationalökonomie. Solange es eine Metaphysik großen Stils gab, bis auf Kant, blieb die Nationalökonomie eine Wissenschaft. Sobald „Philosophie" gleichbedeutend mit praktischer Ethik wurde, trat sie an Stelle der Mathematik als Unterlage des Weltdenkens. Darin liegt die Bedeutung von Cousin, Bendiam, Comte, Mill und Spencer.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Es steht dem Philosophen nicht frei, seine Stoffe zu wählen, so wenig die Philosophie immer und überall dieselben Stoffe hat. Es gibt keine ewigen Fragen; es gibt nur Fragen, die aus einem bestimmten Dasein heraus gefühlt und gestellt werden.,, Alles Vergängliche ist nur ein Gleichnis" - das gilt auch von jeder echten Philosophie als dem geistigen Ausdruck dieses Daseins, als der Verwirklichung seelischer Möglichkeiten in einer Formenwelt von Begriffen, Urteilen und Gedankenbauten, zusammengefaßt in der lebendigen Erscheinung ihres Urhebers. Eine jede ist vom ersten bis zum letzten Wort, vom abstraktesten Thema bis zum persönlichsten Charakterzug ein Gewordnes, aus der Seele in die Welt, aus dem Reiche der Freiheit in das der Notwendigkeit, aus dem unmittelbar Lebendigen ins Räumlich-Logische hinübergespiegelt und mithin vergänglich, von bestimmtem Tempo, von bestimmter Lebensdauer. Deshalb liegt eine strenge Notwendigkeit in der Wahl des Themas. Jede Epoche hat ihr eignes, das für sie und keine andre bedeutend ist. Hier sich nicht zu vergreifen, kennzeichnet den geborenen Philosophen. Der Rest der philosophischen Produktion ist belanglos, bloße Fachwissenschaft, langweilige Häufung systematischer und begrifflicher Subtilitäten", cioè "L’attenzione che gli Stoici dedicarono al loro corpo individuale, i pensatori occidentali la dedicano al corpo sociale. Non è un caso che la scuola di Hegel abbia dato luogo al socialismo (Marx, Engels,) all’anarchismo (Stirner) e ai problemi del dramma sociale (Hebbel). Il socialismo è una economia politica che riveste la forma di un’etica, e di un’etica imperativa. Finché esistette una metafisica in grande stile l’economia politica era rimasta una semplice scienza. Non appena la « filosofia » s’identificò all’etica pratica, essa prese il posto che la matematica aveva avuto quale base della concezione del mondo. Tale è il significato di Cousin, di Bentham, di Comte, di Stuart Mill e di Spencer. Al filosofo non è dato di scegliere il suo oggetto, e la filosofia non ha sempre e ovunque gli stessi problemi. Non vi sono problemi eterni; vi sono soltanto problemi sentiti e posti in base a un’esistenza di tipo determinato. « Tutto ciò che è effimero è soltanto un simbolo » — un tale principio vale anche per ogni filosofia vera, che è l’espressione spirituale di quell’esistenza, la realizzazione di possibilità dell’anima in un mondo di forme costituito da concetti, da giudizi, da costruzioni intellettuali, il quale si riassume nella persona vivente del suo autore. Ognuna di quelle realizzazioni, dalla prima all’ultima parola, dai tempi più astratti ai tratti caratteristici più personali, è un divenuto, qualcosa che dall’anima è passato a riflettersi nel mondo, dal regno della libertà in quello della necessità, e a tale stregua rappresenta qualcosa di caduco avente un dato « tempo », una limitata durata. Per cui la scelta del tema obbedisce a una necessità rigorosa. Ogni epoca possiede un suo tema, avente un significato solo per essa e per nessun’altra. Il filosofo nato è caratterizzato dall’avere un senso preciso di tale tema. Il resto della produzione filosofica è insignificante, è puro specialismo, è un’accumulazione fastidiosa di sottigliezze sistematiche e concettuali".</div></div><div class="cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x c1et5uql o9v6fnle ii04i59q" style="margin: 0.5em 0px 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: left;"><div dir="auto" style="text-align: justify;">Fra gli interventi finali, le osservazioni del professor Emilio Galvagno hanno rivendicato a Polibio l'originale formulazione del concetto di "tramonto" come "fine di un ciclo", nel percorso della cultura occidentale. E viene dunque in mente, assieme al Gibbon che il professore citava, anche un altro prodotto crepuscolare della grande "morfologia della Storia" con cui Spengler apre e chiude l'Ottocento e il Novecento: quel ponderosissimo "A Study of History" di Arnold Toynbee, in cui ancora forse si respira l'occaso...</div></div><div class="cxmmr5t8 oygrvhab hcukyx3x c1et5uql o9v6fnle ii04i59q" style="margin: 0.5em 0px 0px; overflow-wrap: break-word; text-align: left;"><div dir="auto" style="text-align: justify;">Infine, l'ombra lunga di Jakob Burckhardt aleggiava tra le foglie, assieme a quella di Thomas Mann... Ma sarebbe un altro discorso.</div><div dir="auto" style="text-align: justify;">Splendida conferenza anche quella di ieri: due "occasioni" (è il caso di dirlo) davvero stimolanti.</div></div></div></div></span></span></div></div></div></div>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-49130616463288369352021-02-14T12:45:00.007+01:002021-02-14T12:55:44.263+01:00Qualche parola sulla debolezza delle parole che dicono l'amore<div style="text-align: justify;">La poesia rende l'amore altra cosa da quel che si può sperimentare senza parole; la parola trova analogie che l'amore non conosce, perché i freni che il corpo, gli anni, le timidezze diverse impongono, nella poesia non si trovano spesso che come ardite metafore, mentre nell'amore sono gesti mancati, torsioni vibranti, sguardi nel buio tesi a cogliere la presenza della persona amata, ovunque sia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Per questo la poesia d'amore — pulsione originaria di ogni poetare — è un ponte sull'assenza, sempre: anche le splendide gioie del cuore cantate nell'ardore, si pongono come l'eco rimbombante, ma via via più rarefatta, del tepore e del fuoco; così pure il freddo ustionante dell'assenza, o la noia urgente ad ogni passo, fra i versi si volgono quasi come una danza a suo modo desiderabile.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La parola d'amore non è la parola amorosa: mette sempre un di troppo volendolo togliere, descrive ogni volta in cui vuole evocare. Solo in rari momenti di grazia il poeta si convince, e con nostalgia tace la sua parola e la dimentica, così che qualcun altro, nell'Altrove e col suo personale cammino da segnare, possa a suo modo scordarla ridandola al cuore.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I tuoi occhi — sono rimasti solo quelli</div><div style="text-align: justify;">dalla stranezza che ha sottratto il volto —</div><div style="text-align: justify;">mi parlano la lingua delle ombre,</div><div style="text-align: justify;">sospirano la voce che ho scordato.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Un tempo erano fiamme nell'oscuro,</div><div style="text-align: justify;">una carezza a me ch'ero straniero</div><div style="text-align: justify;">in ogni luogo avessi respirato;</div><div style="text-align: justify;">poi si spensero, aduggiandosi fiochi.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Qualcuno ci dirà che delle labbra</div><div style="text-align: justify;">riuscimmo una stagione a fare a meno:</div><div style="text-align: justify;">e fu nel freddo della nostra vita,</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">quando cenere si mescola alla bruma;</div><div style="text-align: justify;">nessuno poi saprà quei vani amori</div><div style="text-align: justify;">lunghi e celati agli occhi, dardeggiando.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">A questo, alle parole più ovattate</div><div style="text-align: justify;">dette più indentro al cuore, più sommesse,</div><div style="text-align: justify;">si apre questa fine dei ricordi:</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">quasi che nel coraggio del confondersi</div><div style="text-align: justify;">tornasse alle parole più vigore</div><div style="text-align: justify;">per dirle fuori a un vero ormai invisibile.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Duro è spesso l'amore, amaro a perdersi,</div><div style="text-align: justify;">mutato lungo i giorni impercettibili,</div><div style="text-align: justify;">quando la carne cede ai brevi spasimi</div><div style="text-align: justify;">tutto il dolce di pelle che si slaccia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Così quando non serve più parlare</div><div style="text-align: justify;">perché labbra o altri segni più non valgono,</div><div style="text-align: justify;">sarà nel buio dove è eterna Luce</div><div style="text-align: justify;">che quegli occhi sapranno ormai tacere.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://draft.blogger.com/#"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-MRHjOb8QkuQj0A98rIWOOPlrWWhCuuEIT_mhaH3BgApLCbz8xuNKdJhRWZjjRM-OIzQZWZSsws3WOxT92w4Z5zcHDb94eKyCLXNYmDzdheACoSBatzQTmY2Ygyg9EJUsTu0tNszUyyY/w320-h400/sketch1613302221528.png" /></a></div><div style="text-align: justify;">"Vibrazione dell'idea di amore", 14.II.2021</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-52094558458671734202021-01-09T18:42:00.000+01:002021-01-09T18:42:13.845+01:00 DI NEBBIA E LUCE<p style="text-align: justify;">Il nuovo, in quanto inatteso, è la sensazione repentina, dinanzi all'incertezza di ogni nebbia; è la forza prorompente del ricordo nella percezione: l'inerzia in quanto tenacia, opposizione al mutamento — lo sapeva ottimamente Spinoza. En-ergon è il "lavoro interno": il lavorio, la "forza operosa" che "affatica di moto in moto"; dunque l'energia è una "disponibilità al mutamento della forma", dal livello fisico (in quanto "della Natura") minimo a quello supremo, che si riconnettono come le volute di una spirale che unisce la ragione e gli strumenti attraverso i quali se ne prende misura — un logaritmo, propriamente parlando di spirali.</p><p style="text-align: justify;">L'Essere è forse la vera impressione della memoria che è in verità "ogni" essere — esse est memini, dicevano i saggi.</p><p style="text-align: justify;">Se dunque ogni panorama è un immergersi nella Luce della conoscenza, semplice e aperta percezione che prende assieme i sensi per farne senso, la nebbia ci accoglie nell'alveo dell'inconsapevolezza, non nell'impossibilità della visione. Nella nebbia si vede, ma senza vedere la visione che produce la conoscenza attraverso la percezione. Essa nebbia perciò ci libera, nel limite, dalla presunzione di sapere. </p><p style="text-align: justify;">L'Essere è: la nebbia ci aiuta a ricordarlo. Ogni oscurità è, con la sua propria Luce; altrettanto ogni luce, ogni nebbia, ogni profilo inteso delle cose, saputo con ogni occhio fisiologico, concreto ed astratto, è. </p><p style="text-align: justify;">Quel che chiamiamo "ignoranza" non è quindi ignoranza della cosa (col genitivo oggettivo), ma impotenza in noi e per noi del limite e della nebbia che è sempre sostegno anche quando non lo accettiamo e cerchiamo una visione limpida, senza "filtri", appunto come per giungere ad una verità "oggettiva". Essa però giace sotto l'inevitabile nebbia della costruzione del senso, che è una disponibilità al cambiamento di forma del campo di forze dell'Essere, diffusa in modo diseguale — anisotropo, "in una parte più e meno altrove".</p><p style="text-align: justify;">Nel ricordo mutevole e diveniente L'Essere si mostra col suo inevitabile filtro, anzi lo mostra; e anche il filtro è eterno e vero nella misura parziale in cui lo concepiamo, non nel suo intero per sé.</p><p style="text-align: justify;">Nella nebbia il vero è dunque più vero, e il suo certo tratto che noi cogliamo è tale, non essendo l'essere dell'Essere, ma la porzione eterna e vera del tutto luminoso ed oscuro insieme, che è la Luce che non potremo mai cogliere ma si mostra nella nube della nonconoscenza. Lì il nostro occhio lattiginoso brilla ultimamente nel fuoco senza limite.</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoBNn38kWndJKfDpwnHTEdKh_3ym0r7fNSUl3Hv66rF3Q8UGNIg8cDRwPo4E9X4rJn4ydpdg7-B38QsdDaxT5iOA6ki_7Cayn9kwauiRpKBqmK-dK7icyUKUei7ozsNpGuft1Y4I4s33Y/s2048/IMG_20210109_122946_140.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoBNn38kWndJKfDpwnHTEdKh_3ym0r7fNSUl3Hv66rF3Q8UGNIg8cDRwPo4E9X4rJn4ydpdg7-B38QsdDaxT5iOA6ki_7Cayn9kwauiRpKBqmK-dK7icyUKUei7ozsNpGuft1Y4I4s33Y/s320/IMG_20210109_122946_140.jpg" width="320" /></a></div><br /><p><br /></p>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-22454863446165120462021-01-06T18:28:00.006+01:002021-01-06T19:40:25.045+01:00Apparire e Nutrire, Manifestarsi e Squarciare, Brillare e Parlare<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span>Cos'è l'</span><i>apparire</i><span>? In cosa è diverso dal </span><i>manifestarsi</i><span>, e in cosa dal </span><i>brillare</i><span>?</span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><b>Apparire</b>, dal verbo latino <strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">pāreō</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">, significa "essere visibile", e quando però è coniugato con il riferimento "a qualcuno o qualcosa", significa "sottomettersi", "essere obbediente": e ciò non è solo il segno dell'«umiltà» (dunque di un legame profondo con la terra, <i>humus</i>, che anche etimologicamente è legata all'<i>hom</i></span><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><i>ō</i>, e non solo per il mito della creazione</span><span style="background-color: white;">), ma anche della capacità di "ascoltare", perché quell'</span><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><i>obēdiō</i> richiama proprio <i>au</i></span><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><i>diō</i>, ed è a causa di quell'ascolto che si "obbedisce".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">A cosa dunque si tende l'orecchio? O la bocca?</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">Quel </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">pāreō</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"> deriva da una radice protoindoeuropea </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*peh₂-</strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, col significato originario di "proteggere", e poi con quello derivato di "condurre al modo del pastore". Da quella radice è derivato il latino </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">pāscō</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">, cioè "conduco a mangiare degli animali", così come il nome del dio greco </span><span style="background-color: white;"><i>Pā́n</i>, il dio che "nutre" in quanto è dio del "tutto"; ed è derivato anche </span><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><i>pānis</i>, il "pane", ma così pure <i>penes</i> e <i>penus</i>, cioè per il primo termine il "cibo" e insieme l'«essere sotto il comando di qualcuno", e per il secondo "la parte più interna del tempio di Vesta", che è, circolarmente, il greco </span><span style="background-color: white; font-style: italic;">hestíā</span><span style="background-color: white;">, vale a dire la "terra", dunque <i>humus</i>).</span><span style="background-color: white;"> </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="background-color: white;">Ma dalla radice </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*peh₂-</strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;"> è derivato anche, con il grado vocalico ridotto, </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*ph₂–tḗr</strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, "Colui che protegge e nutre poiché è visibile", il <b>pa–dre</b>. E in questo circolo dei suffissi d'agente come </span><span style="background-color: #f2f2ff;"><i>-tḗr</i> si unisce anche l'altro suffisso d'agente, </span><span style="background-color: #f2f2ff;"><i>-mḗn</i>, che si è unito alla radice al grado vocalico forte per derivare </span><span class="Latinx mention" lang="ine-pro" style="background-color: white;"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: none; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;"><b>*poh₂–i–mḗn</b>, il greco </span></span><span style="background-color: white;"><i>poimḗn</i>, che è anche il "maestro" oltre ad essere il "pastore", vale a dire il </span><span style="background-color: white;"><i>mēlá–tēs</i>, cioè "Quello delle pecore" (dove il greco </span><span style="background-color: white;"><i>mêlon</i> è però ben prima del "bestiame" invece "ogni tipo di frutto" — dunque ancora, come in un avvitamento, la totalità del "nutrimento"). Da quel grado forte </span><b style="background-color: white;">*poh₂</b><span style="background-color: white;"> del resto è derivato il germanico </span><strong class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">*fōdô</strong><span class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">, da cui discendono <i>to feed</i>, "nutrire", e <i>food</i>, il "cibo".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;"><b>Apparire </b>dunque, nel senso di essere visibili, è un <b>proteggere</b>: e la migliore forma di protezione è quella del <b>nutrire</b>. Dare in cibo sé stessi, se fosse possibile: la Natura lo fa nel suo eterno trasformarsi per cui ogni ente è cibo per altri enti; e non si dovrebbe dimenticare che lo stesso termine viene dal latino <i>cibus</i> ed imparentato con il greco </span><span style="background-color: white;"><i>kībōtós</i>, che ancor prima di essere l'«offerta» è una "scatola di legno" — come a dire una "culla" ricavata da una "mangiatoia", non a caso.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="background-color: white;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="background-color: white;">Altro orizzonte si apre col <b>manifestarsi</b>, che ha una vicenda etimologica ben più breve ma non meno interessante, essendo ciò che è manifesto qualcosa che "può essere colpito con la mano". Non <i>toccato</i>, sia chiaro: nell'aggettivo latino </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">mani–fēstus</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"> la <i>manus</i>, da cui la "mano" dell'italiano, è la "cosa che indica, segnala", e proviene dalla radice indoeuropea <b>*men-</b> che riguarda ogni "pensiero" e "attività spirituale" (quindi la "percezione" della realtà è svolta "teoreticamente", attraverso lo "sguardo" e l'«ascolto», e in ogni caso senza il contatto fisico); mentre il </span><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><i>fēstus</i> finale viene da un verbo che non è attestato autonomamente in latino, </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">*fendō</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">, che significa però originariamente "colpire", "spingere".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">Questo verbo ha un'origine protoindoeuropea nella radice </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*gʷʰen-</strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, che significava "battere", "colpire", e "uccidere"; e dalla stessa radice nel grado vocalico forte </span><span style="background-color: white;"><b>*gʷʰon-éh₂</b> è derivato la parola del germanico </span><strong class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">*banō</strong><span class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">, che significa sì il "campo di battaglia", ma anche uno "spazio aperto", un "percorso ripulito" (come nel tedesco moderno <i>Bahn</i> che è la "strada"), quindi infine una innocua "radura". </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">Si potrebbe dire quindi uno <i>squarcio</i> nel fitto originario del bosco, nel quale (come nelle etimologie di Isidoro di Siviglia seguite, molti secoli dopo, da Martin Heidegger) si apre il </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">lūcus</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">, l'apertura di <i>luce</i> che è sacra</span><span style="background-color: white;"> perché "brilla", derivando dalla radice protoindoeuropea </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*lewk-</strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;"> che ha dato fra gli altri il greco </span><span style="background-color: white;"><i>leukós</i>, il "candore abbagliante" e </span><span style="background-color: white;"><i>lúkhnos</i>, la "lampada",</span><span style="background-color: white;"> ed appunto il latino </span>lūmen e <span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">lūx.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">Ma quello <i>squarcio</i> di luce che si apre nell'oscurità e brilla splendendo, dalla stessa radice </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*gʷʰen-</strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;"> di </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">*fendō</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">, </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">fēstus</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">,</span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"> </strong><span class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">attraverso </span><span class="Latinx mention" lang="ine-pro" style="background-color: white;"><b>*gʷʰon-yeh₂</b> ha dato anche il germanico </span><strong class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">*banjō</strong><span class="Latinx headword" lang="gem-pro" style="background-color: white;">, che è una "ferita": la luce fuoriesce dal </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">lūcus</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">, che è il "bosco sacro", e ne esce come un sangue brillante di sacrificio. La violenza necessaria dona luce e vita attraverso la morte. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><span style="font-family: helvetica;">Nella apertura degli occhi e della bocca infine si può trovare la comunanza tra l'apparire e il nutrire, il manifestarsi e lo squarciare, dunque tra il "brillare" luminoso e il "parlare sacro".</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><span>La "manifestazione" di qualcosa infatti, il suo "apparire", è una <i>epifania</i>: essa deriva dal greco </span></span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><b>epipháneia</b>, composto da </span><span face="sans-serif" style="background-color: white; font-style: italic;">epí</span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"> e </span><span face="sans-serif" style="background-color: white; font-style: italic;">phaínō</span><span face="sans-serif" style="background-color: white;">, letteralmente un "brillare dall'alto, un "brillare superiore" che discende proprio per rendersi visibile. </span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span face="sans-serif" style="background-color: white;">Quel </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><b>phaínō</b> viene dalla radice protoindoeuropea </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*bʰeh₂-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, che vale anzitutto "brillare", "emettere luce", ed ha dato fra gli altri il greco </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>pháos</i> che si è evoluto in </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>phôs</i>, la "luce brillante", ma anche in </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>phṓs</i>, il "mortale", l'«uomo» in quanto sta "sotto la luce (del Sole)", e poi ha portato al <i>*-</i></span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>phḗs</i> di </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>saphḗs</i>, vale a dire "ciò che è chiaro perché visto con gli occhi e compreso con la mente", e quindi alla </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>sophíā</i>, la <i>luminosa</i> "conoscenza" che è "maestria" e "ammaestramento" insieme.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;"><span>Da quel </span></span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*bʰeh₂-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;"> è venuto però anche il latino </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">faveō</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">, che è il "favorire", ma pure l'«incoraggiare» e l'«indulgere»: e proprio quest'ultimo significato non ha nulla di <i>passivo</i>, quanto invece una vera e propria <i>pazienza</i> e <i>sopportazione</i>, poiché nel latino </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">in–dulgeō</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;"> (come per *</span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">fendō</strong><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">) il verbo *</span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">dulgeō</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;"> non è attestato autonomamente, ma deriva dalla radice protoindoeuropea </span><span class="Latinx mention" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;"><b>*delgʰ-</b> che ha (come nel greco </span><span face="sans-serif" style="background-color: white; font-style: italic;">endelekhḗs</span><span face="sans-serif" style="background-color: white;">, "ciò che è continuo") il significato di "persistente, paziente". Ecco dunque come si <i>favorisce</i> qualcosa, essendo <i>indulgenti</i> in essa e con essa: essendo dei <i>fautori</i> e promuovendo dei gesti <i>fausti</i>, termini entrambi derivati dal </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">faveō</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;"> latino. Che poi un sinonimo di <i>faustus</i> fosse <i>albus</i>, il "bianco" e "chiaro" di ciò che è "favorevole", non fa che confermare la circolarità dei significati.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="background-color: white; font-family: helvetica;">Potremmo contentarci di affidare quindi agli occhi questo "bagliore persistente" e "paziente" che sgorga come una "ferita" dell'oscurità che "ferisce" fino a farne uscire la "luce" vera che "nutre" nella misura in cui si rende "visibile" e "appare" come un "padre" che "guida" come un "pastore" e "protegge".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span face="sans-serif" style="background-color: white;">Ma da quella radice </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*bʰeh₂-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;"> deriva anche il preziosissimo termine latino </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">iubar</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">, lo "splendore radioso degli astri", la "grazia": si potrebbe dire, quello dell'apparizione di una cometa nel cielo notturno. </span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">La parola <b>iubar</b> ha due probabili ascendenze etimologiche: una la descrive come composto della radice protoindoeuropea </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*dyew-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, che è il "chiarore del cielo" ed ha una storia formidabile che porta fino al latino <i>Iuppiter</i>, e appunto </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*bʰeh₂-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, di modo che si possa indicare come un superlativo assoluto e insuperabile, il "chiarore del chiarore", la "luce che viene dalla luce". L'altra etimologia riporta <b>iubar</b> alla radice protoindoeuropea </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*Hyewdʰ-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;">, che in latino ha dato il verbo </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">iubeō</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">, vale a dire il "comandare", l'«ordinare», l'«autorizzare», e in greco ha dato </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>euthús</i> ed </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>eîthar</i>, col significato di qualcosa di "diretto", "franco", "immediato" e che arriva "tutto in una volta".</span></span></div><span style="background-color: white; font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;">Come la luce che "immediatamente" rende "visibile" la realtà, "tutta in una volta" e "una volta per tutte", e "persiste pazientemente", in modo "indulgente" e "propizio" verso chi sta osservando.</div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span face="sans-serif" style="background-color: white;">Eppure la stessa radice </span><strong class="Latinx headword" lang="ine-pro" style="background-color: white;">*bʰeh₂-</strong><span class="Latinx headword" face="sans-serif" lang="ine-pro" style="background-color: white;"> collega gli occhi alla bocca, perché non indica solo il "brillare" ma anche il "parlare": da essa derivano infatti il greco </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>phōnḗ</i>, la "voce", ogni "suono" e "discorso" e "linguaggio", ma anche </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>phḗmē</i>, l'«oracolo» in quanto <i>parola sacra</i> e la "reputazione", e la </span><span face="sans-serif" style="background-color: white;"><i>phásis</i>, che è l'«apparenza»; e derivano pure il latino </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">fāma</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">, che è rimasto tal quale in italiano, e il </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">fātus</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">, in quanto <i>parola sacra</i> pronunciata dai sacerdoti "in nome" della divinità, e la </span><strong class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white;">fābula</strong><span class="Latn headword" face="sans-serif" lang="la" style="background-color: white;">, il "discorso", la "narrazione" che è propria di ogni parlare.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white; font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white; font-family: helvetica;">Quale Parola quindi può parlare brillando, e attraverso il suo manifestarsi squarciare le oscurità strappandole con forza come si apre una radura nel fitto di un bosco sacro per farvi penetrare internamente, come in un tempio, la luce splendente e che non muore, ma anzi nutre e favorisce dando sé stessa come cibo, protetto in uno scrigno di legno dal quale fuoriesce come una ferita di sacrificio che la fama proclamerà nel suo discorso?</span></div><div style="text-align: justify;"><span class="Latn headword" lang="la" style="background-color: white; font-family: helvetica;">Una Parola che può compiere la sua epifania brillando come una inestinguibile cometa che brilla sempre e una volta per tutte ricapitolando in sé stessa la Luce Primigenia con la quale il Pastore Divino del Cielo rese visibile l'eternità della realtà nella sua Gloria, come un Padre che prepara in sé e da sé il Pane Celeste e lo dona per prendersi cura del suo gregge e proteggerlo, apparendo.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4000" data-original-width="3000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiYd-elYXJaq1kaFTnFIUtMAoh1UHRrGAyvm-up2fvV9YnobsCUMedqzPbKjJRYFuj6-CXfBJm1i9VFlbF8PEkIPHnc_qakswOk2r3I-17PVmKeezRMi3w5-pV8BAPkYoDVqMojJClzZE/s320/P_20201225_125321.jpg" /></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div></div></div>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-11634767862384734062021-01-05T22:18:00.001+01:002021-01-06T20:44:43.306+01:00 PROPERZIO E LA "FORMA" DEL FUTURO - Piccola nota in margine a Elegiarum, 3, II, 18<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span face=""Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #050505; white-space: pre-wrap;">In una sua elegia (la seconda del Libro Terzo) il poeta latino Properzio scrive, avviandosi a completare il discorso, "carmina erunt formae tot monumenta tuae", "i canti saranno tante durevoli testimonianze della tua bellezza". <br /></span><span face=""Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #050505; white-space: pre-wrap;">Gioca, come sempre accade con il discorso dei grandi poeti, sull'ambiguità di quella "forma", che è la Bellezza, ma rimanda a un ben altro livello di ordine e grazia.<br /></span><span face=""Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif" style="background-color: white; color: #050505; white-space: pre-wrap;">Properzio ricorda Orazio: quei "monumenta" poetici sono "aere perenniora"; lì si parla di "piramidi" e qui altrettanto, come segni di un'eternità da raggiungere e superare addirittura.</span></span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">Può farlo la Bellezza? Non di certo quella esteriore e "fisica", nel senso della "physis", della Natura per come si mostra: delle 30 occorrenze di "forma" nelle "Elegie", Properzio per 12 volte la declina come "aspetto", "apparenza esteriore", e sempre così nei pentametri che chiudono i suoi distici.</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">Allora è la Bellezza del "kosmos", invisibile e inattingibile appieno, se non con l'occhio intellettuale che è guidato dalla poesia, dal "carmen".</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">Ma c'è qualcosa che rende quel pentametro tanto fascinoso e splendente: non solo la costruzione ritmica, quel martellare allitterante delle T, questa tipica danza ondeggiante; quanto proprio il legare alla fragilità dell'amore la durevolezza, l'eternità che dischiude la visione del Supremo.</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">Dove in Orazio tutto è già compiuto ("Exegi monumentum aere perennius": in un tempo ormai fissato, perfetto che stentiamo al di là di ogni precisione grammaticale rendendolo con "Ho eretto", "Ho innalzato"), Properzio pone il limite al futuro ("erunt", "saranno").</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">È l'amore a spostare sempre più in là il risultato, la sua completezza incolmabile? Di certo sì, ed è la sua luce incancellabile a renderlo eterno. Anche quando, nella parte centrale dell'opera, il poeta tradito ed offeso con ira dissimulata e studiata scrive "scribam igitur, quod non umquam tua deleat aetas,/ 'Cynthia, forma potens; Cynthia, verba levis.'/ crede mihi, quamvis contemnas murmura famae,/ hic tibi pallori, Cynthia, versus erit", cioè "Scriverò dunque qualcosa che mai la tua vita potrà cancellare: 'possente, Cinzia, per la sua bellezza; sin troppo fragile, Cinzia, per le sue promesse'. Credi a me, per quanto non ti interessi affatto il mormorio della fama, questo verso, Cinzia, ti farà impallidire".</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">Cos'è dunque questo "futuro", questo "qualcosa che diviene" in quell'«erunt carmina», in quell'«versus erit»?</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">È la comprensione del Mondo, la Verità ben più alta: oltre essa, allegoricamente, è il Mistero insondabile, che Properzio col gioco ellenistico ironico e scanzonato indaga fra rabbia e disillusione — "eventum formae disce timere tuae", "impara a temere il destino della tua forma", potremmo finalmente tradurre.</span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="animation-name: none; background-color: white; color: #050505; text-align: justify; transition-property: none; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: helvetica;">Qual è, se vi è, la cura per questa insondabilità? Se da un lato "pollà pseudontai aoidòi", "i poeti mentono molto", dall'altro Gorgia indica nell'«inganno» e nella "consapevolezza dell'inganno" l'unico strumento per resistere alla tragedia, dentro e fuori dal teatro della vita: "Fiorì la tragedia e fu celebrata perché fu una mirabile recitazione e spettacolo per gli uomini di quel tempo e perché con i suoi miti e con le sue esperienze determinò, come dice Gorgia, un inganno nel quale chi riesce, meglio si conforma alla realtà in confronto di chi non vi riesce, e chi si lascia ingannare è piu saggio di chi non si è lasciato ingannare. Infatti chi è riuscito a ingannare piu giustamente si conforma alla realtà, perché, dopo aver promesso questo risultato, lo ha portato a compimento; chi si è lasciato ingannare è piu saggio: infatti si lascia vincere dal piacere delle parole l'essere che non è privo di sensibilità".</span></div>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-2438518052518920052020-04-22T13:03:00.004+02:002021-01-06T20:41:05.149+01:00Mettere ordine nel silenzio<span style="font-family: helvetica;"><br />
</span><div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: helvetica;"><b><span style="line-height: 107%;"><span>Silenzio come “vuoto”</span></span></b><span style="line-height: 107%;"><span><span style="font-weight: normal;">È quasi banale pensare
al <i>silenzio</i> seguendo le definizioni
dei dizionari — e già questo potrebbe essere sintomatico di una modalità di
conoscenza, quella che cerca anzitutto di associare le parole alle cose
attraverso un <i>vocabolario</i> e non
primariamente attraverso un’<i>enciclopedia</i>,
ammesso che invece nel pensiero spontaneo e meno ordinato non si segua invece
la via opposta.</span></span></span><br />
<span><br /></span><b><span style="line-height: 107%;"><span>Silenzio come “nulla”</span></span></b><br />
</span><div class="MsoNormalCxSpFirst">
<span style="font-family: helvetica;"><i><span style="line-height: 107%;">Silenzio</span></i><span style="line-height: 107%;"> sarebbe
quindi “assenza di suono”: definizione in negativo quindi, come a dire che
ontologicamente, e non solo cognitivamente, il prius sia il suono, che questo
suono dunque precede il silenzio, e non questo silenzio la base per il fatto
d’esperienza dell’uno e dell’altro fenomeno acustico.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpLast">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Un sinonimo potrebbe
essere quindi, generalizzando i dati di esperienza, quello di <i>vuoto</i> contrapposto perciò ad un pieno,
stante l’<i>assenza</i> necessaria a
definire il silenzio. Più radicale però rispetto ad altri contrasti
strutturalmente simili perché polarizzati, come “luce” e “buio”, il contrasto
fra <i>silenzio</i> e <i>suono</i> tende a quello semanticamente fondamentale fra <i>essere</i> e <i>non-essere</i>. Anche in questo caso infatti si viene fortemente
attratti verso la conclusione dell’estensione massima e dell’intesione minima:
il <i>suono</i> è “qualsiasi fenomeno
acustico”, il <i>silenzio</i> appunto la sua
assenza; e se nel <i>suono</i> possiamo
riconoscere almeno la gradazione del <i>rumore</i>
(incerta, fallibile, poco commerciabile come nel contrasto fra “bello” e
“brutto”) che però subito sposta il giudizio verso questioni “esterne” come il
ricorso all’idea e al successivo concetto di “armonia” — ancor più problematica
—, il <i>silenzio</i> non conosce altro che
l’intensione massima negativa. Kant e Cassirer avrebbero ragionato molto su
questo concetto della “quantità negativa”, non a caso: ma siamo sempre non
lontani dalla considerazione di un ragionamento <i>sub genere sonitus</i> e <i>sub
specie silentii</i>, e la storia della riflessione occidentale ha fra l’altro
maggiormente posto l’accento sulla dimensione umana di questo contrasto fra <i>silenzio</i> e <i>suono</i>, perché quest’ultimo è stato principalmente declinato come <i>vox</i>, il suono umano e caratterizzante —
bello sarebbe ripercorrere le tappe delle riflessioni medievali sulle <i>voces animalium</i> e la dinamica di
formazione del concetto di suono “umano” appunto per i filosofi dell’epoca.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Se la posizione analitica
è quella generalmente ontologica, per cui vi è una analogia fra <i>silenzio</i> e <i>vuoto</i> da un lato e fra <i>suono</i>
e <i>pieno</i> dall’altro, questa stessa può
essere estesa ulteriormente e massimizzata con la proporzione di <i>silenzio</i> come <i>nulla</i> e <i>suono</i> come <i>essere</i>. Porre il <i>silenzio</i> come <i>nulla</i>
(dunque positivamente) e non semplicemente come <i>non-essere</i> secondo la definizione in negativo consente di cercare
di applicare una mereologia, e avvicinare l’analisi al sorite per cui il <i>silenzio</i> non è esclusivamente definibile
in termini logici ma va indagato fenomenologicamente, anche in modo ingenuo,
facendolo quindi emergere ontologicamente, fondandolo, ponendolo e predicandolo.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">È chiaro che con questo
spostamento concettuale il <i>silenzio</i>
come evoluzione analitica del <i>vuoto</i> e
del <i>nulla</i> assume su di sé ancor di
più la problematicità di quell’<i>è</i>, della
questione parmenidea quindi con tutto quel che ne deriva per il fondamento
della cultura occidentale, perché esso entra quindi a pieno titolo, col sorite
di cui si accennava sopra, nel dilemma del divenire: quando <i>inizia</i> il silenzio, e quando <i>finisce</i>? Da una questione ontologica la
posizione è divenuta una questione gnoseologica perciò; ma tale spostamento
consente di analizzare altrimenti lo statuto del <i>silenzio</i>, appunto attraverso una mereologia che sfuma e rende più
flessibili i confini di quel contrasto polarizzato iniziale. Attraverso questo
spostamento del <i>silenzio</i> in quanto
“parte” predicabile nell’ontologia del fatto acustico se ne riconosce il valore
posizionale: facile ritrovarlo come un analogo in linguistica, nelle
manifestazioni storicamente attestate dei vari sistemi di scrittura, nella
musica, nel pensiero logico-matematico attraverso lo <i>zero</i> ed il <i>vuoto</i>. Anzi,
se si volesse indagare in una prospettiva genetica la casistica del <i>silenzio</i> nelle forme culturali della
storia dell’umanità lo si vedrebbe appunto emergere dal <i>continuum</i> che ha caratterizzato i primi stadi di queste espressioni
dell’intelligenza collettiva: la <i>scriptio
continua</i> di quasi tutti i sistemi di scrittura non prevede il “silenzio
grafico” ed è ancorata ad una ontologia dualista fra “lettere” (nelle varie
forme dei pittogrammi, ideogrammi, segni sillabici, segni consonantici e poi
segni diacritici per le vocali in primo luogo e poi per la punteggiatura) e una
“posizione vuota” che emerge via via che si impone una mereologia più sfumata e
variegata rispetto al dualismo originario. Allo stesso modo, se la musica e la
fonazione impongono per loro essenza l’alternanza di <i>vuoto</i> e <i>pieno</i> (così come
le prime espressioni ritmiche della spazialità artificiale, modellate
sull’analogia anatomica umana), la sintassi delle lingue conosciute ha
individuato nelle loro fasi iniziali una prevalenza del “pieno espressivo” e
solo dopo ha visto la comparsa della “posizione vuota” manifestata con gli
elementi del discorso sottintesi, non esplicitati, e dunque <i>silenti</i>. Fondamentale e imprescindibile
per tutto il ragionamento è quindi l’uso del <i>silenzio</i> posizionale come concetto matematico, geometrico e in
generale logico; ed anche qui è possibile ricostruire una genesi basata
sull’utilità aritmetica del concetto, per quanto incerto, di <i>zero</i> a fianco di una riflessione più
astratta riguardo al <i>vuoto</i> spaziale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Tutte declinazioni
percorribili, ancora una volta, del rapporto fra il <i>continuum</i> dell’<i>essere</i> e
il <i>discreto</i> che si apre sul <i>nulla</i>: se fosse un pitagorico a condurre
il ragionamento, potrebbe anche ulteriormente specificare il contrasto
fondamentale ponendo l’analogia fra <i>silenzio</i>
come <i>apertura</i> e <i>suono</i> come <i>chiusura</i>, con
una semplice estensione del paradigma aritmologico e geometrico sulle
caratteristiche dei numeri pari e dei dispari, i pari in questo modello
interpretativo associati al silenzio.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">È la fisica a fornire,
d’altronde, una ulteriore sfaccettatura ad un ragionamento che rischia di
avvitarsi soltanto in una dimensione metafisica. La matematica sottesa alle
moderne teorie sulla costituzione della materia (la punta più avanzata dunque
della odierna “filosofia naturale” della nostra cultura occidentale) e grazie
ad essa tutta la produzione di esperimenti e di esperienze sul mondo atomico e
subatomico, ha mostrato e confermato scientificamente negli ultimi decenni il
fatto fisico che dal “nulla” — con più precisione: dal <i>vuoto quantistico</i> — si generano particelle continuamente. Esse
hanno, negli attuali modelli interpretativi della fisica subatomica e secondo
le osservazioni sperimentali, vita brevissima ma intensissima in termini di
energia, creandosi e annichilendosi continuamente anche al di là dei limiti per
ora imposti alla nostra tecnologia per osservarne la totalità fenomenica. È
chiaro come quest’ultima osservazione sia così tanto gravida di conseguenze da
portare immediatamente al dilemma iniziale sulla possibilità gnoseologica di risolvere
la questione principale dell’ontologia; ed è già estremamente problematico
dirimere i diversi paradossi che da questo limite posto dalla finitudine umana
derivano alla scienza in tutti i suoi aspetti, epistemologici ed ermeneutici.
Potrà mai un <i>esperimento</i> esaurire la
richiesta di informazione sulla realtà osservata? L’interpretazione di questo <i>fatto sperimentale</i> è “altra cosa”
rispetto al fatto osservato? Dunque le fluttuazioni quantistiche del <i>vuoto</i> da cui gli strumenti vedono <i>emergere</i> particelle e anti-particelle,
che legame hanno con queste stesse manifestazioni? Quale statuto ontologico
hanno questi “fenomeni sperimentati” rispetto ai “fenomeni sperimentali” della
teoria, e soprattutto quale statuto ontologico hanno le “fluttuazioni” del <i>vuoto</i> stesso?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Singolare, strabiliante è
in ogni caso il fatto (che risulterebbe densissimo di conseguenze in una
interpretazione del silenzio all’interno di un paradigma biologico col concetto
di <i>superorganismo</i> e le declinazioni
in termini di <i>semiosfera</i>) dell’analogia
fra la descrizione della fisica quantistica di questo <i>vuoto</i> dal quale <i>emerge</i>
una realtà — passeggera, effimera, estremamente volatile quanto si voglia ma
“sperimentabile” e “sperimentata”, esperibile (fatti salvi i dilemmi
epistemologici ed ermeneutici di cui poco sopra) —, e la metafora del discorso
religioso (occidentale e orientale, pur nella diversità dei linguaggi) che vede
nell’<i>apertura</i> creata dal <i>vuoto</i> e dal <i>silenzio</i> di fronte alla divinità nella meditazione, nella
preghiera, la condizione necessaria affinché <i>emerga</i> la divinità nell’uomo e questa stessa divinità possa essere
accolta, sperimentata appunto. Ma allo stesso modo l<i>’intepretazione di Copenhagen</i> della fisica quantistica (il modello
cioè più ampiamente condiviso per la lettura e la comprensione della realtà
atomica e subatomica, che per quanto sia inevitabilmente ancora oggetto di
svariate sperimentazioni tese a mostrarne la validità e a cercare di
falsificarne le previsioni al fine di corroborare la teoria stessa, è
ugualmente il più produttivo di risultati validi e fecondi) afferma e mostra
come quel <i>vuoto</i> di <i>silenzio</i> fisico sia “produttivo” di
informazione (dunque, in termini fisici, di energia) e dalla sua caratteristica
di <i>apertura</i> emerga la realtà. Le
ricerche teoriche di Max Tegmark hanno mostrato fin dal 2014 come una possibile
soluzione a tanti dilemmi matematici e fisici della teoria quantistica sia
superabile attraverso il costrutto algebrico del “tensore di fattorizzazione
matriciale”, che in semplici parole non banali è uno strumento matematico che
consente di unificare alcuni aspetti caratteristici delle dimensioni fisiche
dei sistemi quantistici in uno stato fondamentale della materia ulteriore
rispetto a quelli classici solido, liquido e gassoso, chiamato “perceptonio” ed
equivalente alla coscienza, che è sostanzialmente informazione. La teoria di
Tegmark mostra come sia possibile descrivere in maniera elegante e precisa i
risultati delle osservazioni sperimentali in modo da mettere in luce la
conservazione dell’energia dei sistemi fisici, l’invarianza di scala energetica
di questi fenomeni e dunque della realtà, e di spiegare come possa appunto dal <i>vuoto quantistico</i>, dal <i>silenzio</i> quindi, crearsi spontaneamente
l’informazione sotto forma di realtà delle particelle osservate attraverso lo
stato “perceptonio” della materia, dunque la coscienza che unifica osservatore
ed osservato nell’esperimento complessivo che è la realtà quale noi la
sperimentiamo ogni istante.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Rimane la possibilità di
analizzare la questione gnoseologica <i>à la</i>
Berkeley: il <i>silenzio</i> esiste solo
“per noi” e non “per sé”? In altri termini, si tratta di stabilire se esso
esista <i>perché</i> lo osserviamo, dunque <i>in quanto e in tanto</i> che lo osserviamo e
ne facciamo esperienza, o se esso sia un nostro costrutto interpretativo e non
abbia realtà autonoma: dunque non è solo la questione metafisica dell’esistenza
degli impossibili, ma ancora una volta la questione mereologica prima e ontologica
di fondo. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Esso è un fatto
esclusivamente umano? In una teologia razionale, è possibile predicare un
silenzio <i>per</i> Dio e <i>di</i> Dio? Di questo, forse, il discorso
religioso dice di più: se in tutte le religioni storicamente attestate la
divinità crea il Mondo con un atto di parola (in forme diverse, è banale dirlo,
ma questa è una costante di tutte le epoche e di tutte le forme), il silenzio è
il suo <i>non-fare</i> al termine della
Creazione, oppure quel fatto della ierostoria per cui la stabilità dell’essere
cessa ed il Mondo dunque termina la sua esistenza? Se la divinità è rinvenibile
per noi uomini come Parola e questa dunque fonda e mantiene l’essere del Mondo,
il Silenzio è il movimento del divenire delle cose per cui il suo totale
dispiegamento come definitiva “assenza della Parola di Dio” determinerà la fine
del Mondo stesso?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Nella sfera delle
religioni abramitiche, se il primo <i>silenzio
di Dio</i> è quello del sabato in cui termina la Creazione del Mondo e
dell’uomo, questo silenzio è anche il limite della <i>libertà</i> che Egli ha “concesso” (“imposto”?) all’umanità? Il
silenzio ha dunque doppia natura: da un lato sarebbe, nello svolgersi della
storia dell’umanità, il dispiegamento del divenire della Parola fino al suo
compimento apocalittico; ma questo dispiegamento è quello del potere del
Maligno — il <i>silenzio</i> sarebbe lo
spazio in cui Satana si insinua. Dall’altra parte la Parola di Dio risuona nel
Paradiso ma lascia un <i>vuoto</i> in cui
disporre della libertà di errare, per far sì che la ierostoria
dell’Incarnazione della Parola possa redimere il Mondo da quell’errore. La
libertà di questo Mondo è il divenire, passibile del Male nel silenzio
dell’assenza della Parola; la libertà dei Cieli Nuovi e della Terra Nuova sarà
l’essere sonoro eterno, non diveniente.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<b><span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Silenzio
come “potenza”<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Ove fosse possibile
argomentare così in una teologia razionale, il <i>silenzio</i> sarebbe associato dunque ad una proporzione con la <i>potenza ontologica</i> rispetto alla <i>parola</i> come <i>atto ontologico</i>. Ma anche dal punto di vista di una fisica
razionale la <i>potenza</i> si individua
come base del <i>divenire</i> rispetto all’<i>essere</i>: siamo in un paradigma pienamente
aristotelico. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Eppure in un ragionamento
portato alle estreme conseguenze, la “Potenza Infinita” è un “Divenire
Infinito”, ma quindi anche, per quanto detto or ora, un “Silenzio Infinito”; e
con un metodo <i>à la</i> Cusano, questo
Divenire Infinito, questo Silenzio Infinito, è per noi, limitati e finiti,
l’Essere stesso statico e perfetto (nel senso di <i>perfectum</i>, “compiuto”, ancora una volta anche secondo un paradigma
pitagorico); anche la fisica relativistica di Einstein però offre un analogo
risultato interpretativo nell’analisi del cronotopo, ed è singolare come vi sia
continuità ermeneutica pur nella diversità dei linguaggi utilizzati. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Dalla considerazione di
ciò si può spiegare geneticamente la presenza in tutte le religioni di una
teologia apofatica in quanto tentativo “razionale”, umano, di comprendere il
Silenzio divino proprio: di Dio noi non possiamo dire nulla e possiamo dire
tutto in negativo, conformandoci a quello che per noi, fallibili, limitati,
incapaci di profondità intellettiva verso il mistero dell’alterità divina, è il
suo pieno silenzio creatore. Il positivo che potremmo dire della divinità
sarebbe sempre e comunque un artefatto della nostra comprensione (anche
all’interno di una teologia razionale) limitato, inefficace, ombra della verità
che è oscurità splendente — per cercare di imitare i paradossi verbali del
linguaggio mistico. Tale è il <i>silenzio</i>
della divinità: oscurità splendente anche quando si manifesta nel male, nella
malattia, nella morte, così come lo si è chiamato nella riflessione
novecentesca spinta dagli eventi della storia.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Di ciò, della presenza
forte di una teologia apofatica in tutte le religioni e di una sua continua
produzione in tutte le epoche ed anche ai nostri giorni in cui tutto sembra
deviato e spostato verso la comunicazione “piena” (estremamente problematico e
denso affrontare questo aspetto del <i>silenzio</i>
nella nostra epoca), è naturale conseguenza l’<i>esichia</i> come metodo di meditazione e la mistica in quanto
dimensione di esperienza del Divenire Infinito. La creazione del <i>silenzio</i> equivale all’<i>apertura</i> verso il <i>silenzio</i> della divinità di modo che possa emergere la Sua parola.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Michel de Certeau nel suo
saggio <i>Fabula mistica</i> scrisse che “<i>La parola mistica è un artefatto del
silenzio. Crea del silenzio nel rumore delle parole</i>”: dunque, nell’ottica
del filosofo francese “rumore” potrebbe essere un sinonimo di quello stato che
la fisica meccanica razionale, così come la teoria dell’informazione classica,
associa al “caldo, disordine”, mentre “silenzio” sarebbe sinonimo, nel medesimo
modello fisico, di “freddo, ordine”: è la questione dell’entropia e dunque del
livello di energia libera di un sistema e dell’informazione che da ciò deriva
per un osservatore del sistema stesso. Ma è la questione, variando la scala
degli ordini di grandezza, del paradigma biologico e in esso del concetto di <i>superorganismo</i> di cui dicevamo sopra:
come dal <i>vuoto quantistico</i> emerge l’<i>essere</i> delle particelle elementari,
manifestazioni particolari del cronotopo in quella determinata regione
analizzata negli esperimenti di laboratorio, così nel <i>silenzio</i> della preghiera e della meditazione è possibile
rispecchiarsi nel <i>silenzio</i> di Dio per
ascoltarne la parola, così ancor più nel <i>mythos</i>,
nella <i>parola mistica </i>si può trovare
il rispecchiamento della creazione divina, o in un’ottica non teologica, la creazione
attraverso il linguaggio, dunque la poesia. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Quanto tutto ciò sia
debitore del <i>silenzio</i> è dunque evidente,
e magnificamente vero.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: helvetica;"><b><span style="line-height: 107%;">Qualche
lettura</span></b><span style="line-height: 107%;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Restando chiaramente
vastissimo l’orizzonte di analisi di una riflessione sul silenzio, alcune
letture possono risultare utili per approfondire ulteriormente le diverse
questioni poste, sapendo con certezza che molti aspetti non sono nemmeno stati
toccati in queste brevi righe estemporanee (specie tutto il versante
psicologico sul valore del silenzio stesso in ottica personale e sociale).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Il saggio di zoosemiotica
di Umberto <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Eco</span>, <i>Sul latrato del cane</i>, pubblicato
dapprima in <i>Dall’albero al labirinto</i>,
Bompiani, Milano 2007 e poi in <i>Scritti
sul pensiero medievale</i> dalla stessa casa editrice nel 2012, offre una
succosa digressione sul tema delle <i>voces
animalium</i> dall’antichità al medioevo.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="line-height: 107%;"><span style="font-family: helvetica;">Il saggio di Immanuel <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Kant</span>, <i>Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto delle quantità
negative</i>, pubblicato nel 1763, si legge in traduzione nell’edizione degli <i>Scritti precritici</i>, a cura di Angelo
Pupi, Rosario Assunto e Rolf Hohenemser, Laterza, Roma-Bari 1982, mentre il
saggio di Ernst <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Cassirer</span>, <i>Sostanza e funzione</i>, pubblicato nel
1910, si legge nell’edizione di <i>Sostanza
e funzione – Sulla teorià della relatività di Einstein</i>, presentazione di
Giulio Preti, La Nuova Italia, Firenze 1973.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span><span style="font-family: helvetica;">Il concetto di <i>semiosfera</i> è stato introdotto da Jurij
Michailovič <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Lotman</span> nel suo saggio <i>La semiosfera. L'asimmetria e il dialogo
nelle strutture pensanti</i>, Marsilio, Venezia, 1985, e di lui si legge con
grande interesse anche <i>La cultura come
mente collettiva e i problemi della intelligenza artificiale</i>, pubblicato
nei “Documenti di lavoro e pre-pubblicazioni” del Centro Internazionale di
Semiotica e Linguistica dell’Università di Urbino (n.66, 1977). <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span><span style="font-family: helvetica;">Il concetto di <i>ierostoria</i> è stato introdotto da Henry <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Corbin</span> nella sua <i>Storia della filosofia islamica</i>, pubblicata nel 1964 (in Italia
presso Adelphi, Milano 1973) e poi utilizzato in tutte le sue opere successive.
<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span><span style="font-family: helvetica;">Il concetto di <i>superorganismo</i> (con una lunga e
variegata storia che andrebbe tracciata a ritroso nel Novecento almeno a
partire dalla riflessione del teologo e paleontologo Pierre <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Teilhard de Chardin</span>, e alla fine
dell’Ottocento con i saggi naturalistici sulla vita delle api, delle formiche e
delle termiti ad opera di <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Maurice
Maeterlinck</span>)<i> </i>è stato
ampiamente diffuso dal biologo Edward Osborne <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Wilson</span>
in saggi fondamentali come <i>Biofilia</i>,
Mondadori, Milano 1985, o quello scritto in collaborazione con Bert <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Hölldobler</span>, <i>Il Superorganismo</i>, Adelphi, Milano 2009, o ancora <i>La conquista sociale della Terra</i>,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2012.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span><span style="font-family: helvetica;">La numerosissima
letteratura sull’esicasmo e la pratica dell’esichia è tutta fondata sulla
lettura della <i>Filocalia</i>, la grande
antologia di spiritualità ortodossa esicasta pubblicata a Venezia a cura di <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Nicodimo</span> del Monte Athos e <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Macario</span> di Corinto nel 1782, e in
edizione moderna con la traduzione, introduzione e note di M. Benedetta Artioli
e M. Francesca Lovato, presso la casa editrice Gribaudi di Torino fra il 1982 e
il 1987. Grandissima utilità ha anche la lettura dei trattati di Gregorio <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Palamas</span> pubblicati in edizione
complessiva in <i>Tutte le opere</i>, a cura
di Ettore Perrella, Bompiani, Milano 2009.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span><span style="font-family: helvetica;">Sul “perceptonio” e sulla
coscienza come quarto stato fondamentale della materia il saggio seminale è
l’articolo di Max <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Tegmark</span>, <i>Consciousness as a State of Matter</i>,
pubblicato per la prima volta nel gennaio 2014 e riveduto infine nel marzo 2015
e disponibile su arXiv.org (il grande repository online di articoli scientifici
della Cornell University Library) all’indirizzo
https://arxiv.org/abs/1401.1219. A livello divulgativo di Tegmark si può
leggere sul tema del “perceptonio” appunto il saggio <i>L' universo matematico. La ricerca della natura ultima della realtà</i>,
Bollati Boringhieri, Torino 2014, e sul tema del <i>superorganismo</i> il recentissimo <i>Vita
3.0. Essere umani nell'era dell'intelligenza artificiale</i>, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2018.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: helvetica;"><span>Sul <i>silenzio di Dio</i> e la teologia apofatica (la cui letteratura critica
è sterminata), oltre alle opere menzionate sopra per l’esicasmo e l’esichia
anzitutto le pagine di Sergio <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Quinzio</span>
nel saggio omonimo, <i>Silenzio di Dio</i>,
Mondadori, Milano 1982; il saggio di Richard <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Muers</span>,
<i>Keeping God’s Silence. </i></span><i><span lang="EN-US">Towards a Theological
Ethics of Communication</span></i><span lang="EN-US">, Blackwell, Oxford 2004;
il saggio di Denys <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Τurner</span>, <i>The Darkness of God. Negativity in Christian
Mysticism</i>, Cambridge University Press, New York 1995 e la raccolta curata
dallo stesso Turner e da Oliver <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Davies</span>,
<i>Silence and the Word. Negative Theology
and Incarnation</i>, Cambridge University Press, New York 2004; il saggio di
Raoul <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Mortley</span>, <i>From Word to Silence. </i></span><i><span>The Rise and Fall of Logos. </span></i><i><span lang="EN-US">The Way of Negation, Christian and Greek</span></i><span lang="EN-US">, Peter Hanstein Verlag, Bonn 1986. </span><span>Almeno un’opera di ambito orientale da segnalare
per iniziare un percorso di approfondimento è il commento al <i>Sutra del Cuore </i>(uno dei capisaldi del
pensiero buddhista mah</span><span>ā</span><span>y</span><span>ā</span><span>na) scritto da Khenpo Palden Sherab <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Rinpoche</span>, <i>Ceaseless Echoes
of the Great Silence. </i></span><i><span lang="EN-US">A Commentary on The Heart Sutra – Prajn</span></i><i><span lang="EN-US">ā</span></i><i><span lang="EN-US">p</span></i><i><span lang="EN-US">ā</span></i><i><span lang="EN-US">ramit</span></i><i><span lang="EN-US">ā</span></i><span lang="EN-US">, Sky Dancer Press, Boca Raton (Florida, USA)
1993.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: helvetica;"><span>Un densissimo studio
sulla sintassi comparata e le questioni delle “posizioni vuote” e degli
elementi silenti del linguaggio è quello di Richard S. <span style="font-variant-caps: small-caps; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal;">Kayne</span>, <i>Movement and
Silence</i>, Oxford University Press, Oxford 2005</span><span>.</span></span></div>
</div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-66170754945512053672019-04-04T23:39:00.002+02:002019-04-04T23:39:59.291+02:00La luce che ritorna dal passato per dirsi con le pieghe del tuo volto. Su "Immagini liberate" di Elio Cardillo<br />
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Da cosa si può liberare
un’immagine scattata cinquant’anni prima?</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Da
tre cose: dall’</span><span style="font-size: small;"><i>oblio</i></span><span style="font-size: small;">,
dalle altre </span><span style="font-size: small;"><i>immagini</i></span><span style="font-size: small;">,
dalla </span><span style="font-size: small;"><i>memoria</i></span><span style="font-size: small;">
stessa.</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Elio
Cardillo ha pubblicato nel 2018 per i tipi della </span><span style="font-size: small;"><b>stampeacontatto</b></span><span style="font-size: small;">
di Carmelo Gaudioso un libro di fotografie, che ha deciso di
intitolare Immagini Liberate, dove sono raccolte circa un centinaio
di foto in bianco e nero scattate fra il 1968 ed il 1972 (ma almeno
in un caso — “</span><span style="font-size: small;"><i><b>Lucia
e Tommaso</b></i></span><span style="font-size: small;">”,
una foto di due giovani abbracciati sulla cattedra di una classe con
alle spalle una lavagna — si legge la data del 23 febbraio 1973).</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Chi
inizia a sfogliare il libro, anche distrattamente quasi come si
compulsa un dizionario cercando suggestioni, si rende conto di una
verità semplice ma che però non trova scritta da nessuna parte:
queste pagine sono il frutto di uno </span><span style="font-size: small;"><i>scarto</i></span><span style="font-size: small;">,
una selezione, e vanno appunto sfogliate allo stesso modo di un
frutto che viene liberato dalla buccia — che si può mangiare,
certo, ma nasconde una polpa ancor più sapida. </span>
</div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Viene
in mente quel sonetto di Petrarca, il 180 del </span><span style="font-size: small;"><i><b>Canzoniere</b></i></span><span style="font-size: small;">,
</span><span style="font-size: small;"><i>Po, ben puo’ tu
portartene la scorza</i></span><span style="font-size: small;">:
il motivo petrarchesco è facile ed evidente: il fiume Po lungo cui
lui viaggia può sì trasportare il suo corpo (la </span><span style="font-size: small;"><i>scorza)</i></span><span style="font-size: small;">,
ma non certo i pensieri ed il suo cuore, che sono rivolti a Laura. E
del resto chi legga il </span><span style="font-size: small;"><i>Canzoniere</i></span><span style="font-size: small;">
di Petrarca sulla linea esegetica delle immagini, non vi trova un
diario spirituale fitto di rimandi e intrecci a dipinti, paesaggi,
luci ed ombre, che potrebbero in tutto somigliare all’intento
narrativo di Elio Cardillo in questo suo volume? In fondo, quando
Petrarca nel suo celebre passaggio del </span><span style="font-size: small;"><i>Secretum</i></span><span style="font-size: small;">
risponde a Sant’Agostino e dice: “</span><span style="font-size: small;"><i>adero
michi ipse quantum potero et sparsa animae fragmenta recolligam</i></span><span style="font-size: small;">”,
cioè “</span><span style="font-size: small;"><i>sarò
presente a me stesso per quanto potrò e raccoglierò gli sparsi
frammenti della [mia] anima</i></span><span style="font-size: small;">”,
non sta dicendo nulla di diverso rispetto a quanto dice Cardillo con
l’ausilio delle fotografie ma con </span><span style="font-size: small;"><b>la
singolare dinamica delle sue didascalie poetiche</b></span><span style="font-size: small;">.</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Le
immagini vanno dunque </span><span style="font-size: small;"><i><b>liberate</b></i></span><span style="font-size: small;">
dall’oblio che le relega in un </span><span style="font-size: small;"><i><b>altrove</b></i></span><span style="font-size: small;">:
a farle tornare vive non è solamente la scelta di metterle insieme
per crearne un discorso rievocativo; serve una narrazione, e serve
che questa non si ponga come un commento, ma come un percorso che di
quelle immagini ritrovi le ragioni dopo cinquant’anni dalla loro
fissazione nella macchina da presa e nell’occhio del fotografo. Le
didascalie che l’autore ha preparato per ognuno di questi scatti
sono un percorso </span><span style="font-size: small;"><i><b>differente</b></i></span><span style="font-size: small;">,
correlato ma per certi versi parzialmente autonomo rispetto alla
narrazione iconografica; in esse si trovano le tracce più importanti
per comprendere tutta l’operazione estetica che è alle spalle del
volume, le ragioni del </span><span style="font-size: small;"><i>recolligam</i></span><span style="font-size: small;">
che Cardillo, dopo mezzo secolo, decide di intraprendere per liberare
le immagini.</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Chi
legga le parole aggiunte a </span><span style="font-size: small;"><span style="font-weight: normal;">“</span></span><span style="font-size: small;"><i><b>Monovano</b></i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">”</span></span></span><span style="font-size: small;">
trova un primo indizio importante: </span><span style="font-size: small;"><i><b>L'uscio
è appena socchiuso ma tanto basta per zittire progetti pieni di
mollezze e futilità. Il mio peccato è che ho scordato la mia
storia, rinnegando antiche esistenze. Quel tempo però è venuto a
trovarci da lontano e da lontano viene lo sguardo della donna:
sguardo eterno e il suo sorriso mi trafigge. Sicuramente abbiamo
fatto tardi.</b></i></span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Di
certo è l’</span><span style="font-size: small;"><i>io</i></span><span style="font-size: small;">
di Cardillo autore a parlare, a dire che ha scordato la sua storia,
</span><span style="font-size: small;"><i><b>rinnegando
antiche esistenze</b></i></span><span style="font-size: small;">;
ma è il seguito a svelare una prima molla che ha spinto quel
percorso all’indietro: quel tempo però è </span><span style="font-size: small;"><i><b>venuto
a trovarci da lontano e da lontano viene lo sguardo della donna</b></i></span><span style="font-size: small;">:
</span><span style="font-size: small;"><i><b>sguardo eterno e
il suo sorriso mi trafigge. Sicuramente abbiamo fatto tardi</b></i></span><span style="font-size: small;">.
</span><span style="font-size: small;"><i>A fare che cosa?</i></span><span style="font-size: small;">,
ci chiediamo. A rimettere insieme i frammenti? A trovarvi un senso? A
mostrarlo a quella anziana donna ripresa nella fotografia, o ai suoi
familiari ed amici, o ad un pubblico più ampio ed estraneo come
quello dei lettori del libro o spettatori della mostra, di modo da
farli entrare in quella foto ed in quel tempo lontano che è venuto a
trovarci?</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">I
tre tempi a cui noi tutti siamo tanto abituati nella loro universale
irreversibile scansione — </span><span style="font-size: small;"><i>passato,
presente e futuro</i></span><span style="font-size: small;"> —
da quando è nata la fotografia sono stati cancellati
inevitabilmente, anche se non ne abbiamo pienamente preso coscienza,
perché siamo così tanto sommersi da immagini in questa nostra che è
potentemente deflagrata come una </span><span style="font-size: small;"><i><b>civiltà
bulimica dell’immagine</b></i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,</span></span></span><span style="font-size: small;">
da non rendercene conto. Le immagini </span><span style="font-size: small;"><i><b>liberate</b></i></span><span style="font-size: small;">
quindi sono tali perché si svincolano dal flusso pur immergendosi in
esso con la pubblicazione, con le mostre, con l’</span><span style="font-size: small;"><i>esposizione</i></span><span style="font-size: small;">
al pubblico che è una </span><span style="font-size: small;"><i>ostensione</i></span><span style="font-size: small;">
di un tempo che non c’è più, letteralmente, tranne che nella
memoria o per quella circolarità che la fisica quantistica ci
dimostra col rigore della matematica e sempre più con l’evidenza
sperimentale. Ogni particella del nostro universo fisico, creata
insieme ad altre, ne rimane “</span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;">intrecciata</span></span><span style="font-size: small;">”
nel fenomeno dell</span><span style="font-size: small;"><i><b>’entanglement</b></i></span><span style="font-size: small;">,
l’intreccio appunto, che fa sì da rendere inscindibili le loro
proprietà anche se quelle particelle fossero spedite ai due capi
opposti dell’Universo astronomico. </span>
</div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Quelle
foto, riprese appunto con l’azione delle particelle di luce — i
</span><span style="font-size: small;"><i><b>fotoni</b></i></span><span style="font-size: small;">
— e impressionate sulle pellicole toccate da liquidi reagenti e
mani che le hanno stese, toccate, spostate, incollate a supporti,
stampate e ristampate, sono una realtà che risuona dentro chi le ha
scattate e chi le ha viste. Per quanto fantasmagorico e difficilmente
intuibile ciò sia, la meccanica quantistica e gli esperimenti
scientifici ci dicono che è così. </span>
</div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Allora
le immagini </span><span style="font-size: small;"><i><b>liberate</b></i></span><span style="font-size: small;">
sono tali perché si svincolano dalla scansione del tempo tripartito
per immergersi nella </span><span style="font-size: small;"><i><b>durata</b></i></span><span style="font-size: small;">.</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">È
un segnale importante quel che si legge nelle didascalie poetiche di
Elio Cardillo aggiunte alle sue fotografie: molte di essere sono
narrate al </span><span style="font-size: small;"><i>passato</i></span><span style="font-size: small;">
o in un eterno </span><span style="font-size: small;"><i>presente</i></span><span style="font-size: small;">
dell’immagine; e fin qui non vi è nulla di straordinario per un
discorso che si affianchi a delle immagini fisse, perché tale è la
natura estetica della comunicazione attraverso la fotografia — essa
fissa una realtà da cui astrae una dimensione specifica e limitata e
la sublima in un oggetto da </span><span style="font-size: small;"><i><b>comtemplare</b></i></span><span style="font-size: small;">
(e la radice è quel </span><span style="font-size: small;"><i><b>cum-temno</b></i></span><span style="font-size: small;">
che alla lettera significa “</span><span style="font-size: small;"><i>separo
e metto assieme</i></span><span style="font-size: small;">”:
dunque ancora Petrarca di cui dicevo) e sul quale </span><span style="font-size: small;"><i><b>riflettere</b></i></span><span style="font-size: small;">
(Narciso ci aiuta; e così Fedro, perché ogni fotografia ci ricorda
che </span><span style="font-size: small;"><i>de te fabula
narratur</i></span><span style="font-size: small;">; e
Terenzio ci consola, perché </span><span style="font-size: small;"><i>homo
sum, humani nihil a me alienum esse puto:</i></span><span style="font-size: small;">
“</span><span style="font-size: small;"><i>sono un uomo, e
nulla di ciò che è dell’uomo ritengo mi sia estraneo</i></span><span style="font-size: small;">”).</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Ma
quando nelle didascalie poetiche Cardillo narra in varie forme
linguistiche di </span><span style="font-size: small;"><i><b>futuro</b></i></span><span style="font-size: small;">,
per delle immagini del passato di cinquant’anni fa e immergendosi e
tornando con la memoria e l’immaginazione a mezzo secolo addietro,
cosa vuol fare se non liberarle dalla </span><span style="font-size: small;"><i><b>memoria</b></i></span><span style="font-size: small;">
stessa e renderle alla loro </span><span style="font-size: small;"><i><b>durata</b></i></span><span style="font-size: small;">
appunto? </span>
</div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Noi
abbiamo nella nostra lingua più di un </span><span style="font-size: small;"><i><b>futuro</b></i></span><span style="font-size: small;">:
quello </span><span style="font-size: small;"><i>semplice</i></span><span style="font-size: small;">
che ci invia verso quel che sarà, quello </span><span style="font-size: small;"><i>anteriore</i></span><span style="font-size: small;">
che già pone una scansione fra quel che sarà e quel che sarà già
stato prima di quel sarà. Ma poi abbiamo anche un </span><span style="font-size: small;"><i><b>futuro
epistemico</b></i></span><span style="font-size: small;">,
quello delle ipotesi che non necessariamente riguardano la
tripartizione del tempo in passato, presente e futuro, ma le
condizioni di quel che può essere: alla domanda </span><span style="font-size: small;"><i><span style="font-weight: normal;">“Che
ore sono?”</span></i></span><span style="font-size: small;">
noi ad occhio magari guardando il Sole rispondiamo </span><span style="font-size: small;"><i><span style="font-weight: normal;">“Saranno
le Cinque, più o meno”</span></i></span><span style="font-size: small;">,
con semplicità e senza pretendere tutta la precisione disponibile.
Ma abbiamo anche un </span><span style="font-size: small;"><i><b>futuro
concessivo</b></i></span><span style="font-size: small;">,
quello che esprime dubbi e correttivi, quello che consente di fare
una scelta o di valutare più di una dimensione della realtà: quando
di un personaggio famoso diciamo ad esempio che “</span><span style="font-size: small;"><i><span style="font-weight: normal;">Sarà
pure bravo e bello, ma quando parla...!”,</span></i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-weight: normal;">
</span></span><span style="font-size: small;">noi con quel
futuro concediamo un credito a qualcuno con la nostra fiducia, ma non
siamo poi davvero tanto sicuri che nello scorrere del tempo
manterremo la nostra opinione.</span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.blogger.com/null" name="__DdeLink__388_2852806703"></a>
<span style="font-size: small;">Ecco: le didascalie di Elio
Cardillo in tutte le sezioni del suo volume hanno delle fotografie
che sono corredate da una </span><span style="font-size: small;"><b>narrazione</b></span><span style="font-size: small;">
che ne amplia la </span><span style="font-size: small;"><i><b>durata</b></i></span><span style="font-size: small;">
proprio con questi futuri narrativi, epistemici, concessivi. Ed a
leggere fra le didascalie si trova anche un esplicito rimando
intertestuale, che costruisce una vera e propria narrazione
tradizionale fra immagini che invece non danno nessun indizio di
collegamento fra loro: nell’unico caso il rimando si ha fra la
SEZIONE “SILENZIO TRASPARENTE” nella foto dell’aratore in
“</span><span style="font-size: small;"><i><b>Sudata terra 1
</b></i></span><span style="font-size: small;">”: </span><span style="font-size: small;"><i><b>Al
ritorno, rovente come la sua falce, spegnerà la sua stanchezza in un
bicchiere di vino scadente</b></i></span><span style="font-size: small;">,
e la SEZIONE “VELATA UMANITÀ” nella foto “</span><span style="font-size: small;"><i><b>Garçonniere
con dependance</b></i></span><span style="font-size: small;">”:
</span><span style="font-size: small;"><i><b>Si diceva del
padrone: forse anche lui un povere diavolo al ritorno con la falce
rovente che annega la sua stanchezza in un bicchiere di vino
scadente</b></i></span><span style="font-size: small;">. </span>
</div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Perché
quindi parlare al futuro per liberare delle immagini, ma soprattutto
perché parlare al futuro per narrare degli eventi passati? Tornano
in mente due romanzi bellissimi e poco noti: in primo luogo il
romanzo del 1963 intitolato </span><span style="font-size: small;"><i><b>Le
Armi l’Amore</b></i></span><span style="font-size: small;">,
scritto da Emilio Tadini e dedicato a raccontare al futuro anteriore,
al condizionale passato e all’imperfetto, senza mai usare il
presente indicativo, la vicenda storica e personale di Carlo Pisacane
e del suo tentativo fallito di rivoluzione popolare nel 1857; in
secondo luogo il bellissimo romanzo della scrittrice francese Annie
Erneaux intitolato </span><span style="font-size: small;"><i><b>Gli
anni</b></i></span><span style="font-size: small;">,
pubblicato nel 2008 in Francia e nel 2015 in Italia, e tutto dedicato
alla splendida descrizione di fotografie che hanno segnato la vita
dell’autrice. E tornano in mente due bellissime poesie di Wallace
Stevens, </span><span style="font-size: small;"><i>Il pianeta
sul tavolo</i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;">
e </span></span><span style="font-size: small;"><i>Un giorno
chiaro e nessuna memoria</i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;">,
entrambe pubblicate ne </span></span><span style="font-size: small;"><i><b>Il
mondo come meditazione</b></i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">,
la raccolta postuma del poeta statunitense: una foto è un’</span></span></span><span style="font-size: small;"><i><span style="font-weight: normal;">opera
di luce</span></i></span><span style="font-size: small;"><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;">
che mette sul tavolo da un frammento di mondo l’intera nostra
esistenza, e la libera dalla schiavitù della memoria per offrirci
una presenza.</span></span></span></div>
<div align="justify" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: small;">Cardillo
</span><span style="font-size: small;"><i><b>avrebbe potuto</b></i></span><span style="font-size: small;">
(indulgo anch’io, in conclusione, a dei tempi e modi diversi
rispetto all’indicativo presente) mostrarci le sue bellissime
fotografie e raccoglierle in un volume, anche senza null’altro
aggiungere. Ma con le sue didascalie poetiche ci mette nella
condizione della durata della visione, che è il compito più
importante per una fotografia e la sfida più difficile da
affrontare. Saremo arrivati tardi anche noi, come si chiede lui in
quella prima didascalia che citavo inizialmente? Sarà </span><span style="font-size: small;"><i>la
luce che ritorna dal passato/ per dirsi con le pieghe del tuo volto</i></span><span style="font-size: small;">,
ricordando i versi del Sommo Poeta, a darci la risposta.</span></div>
<br />Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-86522485410082306122019-04-04T23:37:00.000+02:002019-04-04T23:37:20.436+02:00Un romanzo di piccoli gesti. Su "Pasticcino al cioccolato" di Elio Cardillo<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Si può scrivere un romanzo manzoniano nel duemiladiciannove?
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Si può scrivere ed avere ben presente
che i romanzi più <i>moderni</i> fra scaffali e librerie di catene
commerciali sono scritti tutti quanti (o quasi tutti: il che
conferma) con al centro un commissario che risolve dei delitti e
magari è un po’ ribelle alle regole assegnate, è un po’ burbero
ma sempre affascinante, e ci piace in fondo proprio per quest'aria
che ricorda che noi non saremo mai così <i>imperfette</i> ma
simpatiche canaglie, e vivremo sempre ai margini cullandoci di sogni?</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Si può fare appello al nostro
ricordare gli anni fervidi del breve dopoguerra, quei Cinquanta che
poi furono preludio al più grande <i>Boom</i> del secolo e che
videro la fame e le speranze mescolarsi per far nascere un'Italia che
sapesse d'<i>onestà</i> (vi ricorre nei momenti più toccanti fra le
pagine l'autore, che non teme di confondersi con chi la grida oggi
come fosse una preghiera e non un vanto), di <i>lavoro</i>, di <i>ideali</i>
di <i>bontà</i>?</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
A qualcuno non sarà sfuggito l’omaggio
in prosa ritmica per il nuovo romanzo di Elio Cardillo, intitolato
<i>Pasticcino al cioccolato</i>, che esce per le edizioni
<b>stampeacontatto</b> di Carmelo Gaudioso. La ragione è semplice e
scoperta: questo è un romanzo scritto da un poeta, e noi ci troviamo
con Elio e con l’orizzonte di paesaggio di queste pagine a Lentini,
la terra di Gorgia, il luogo dove è nata la prosa d’arte —
quella <i>antike Kunstprosa</i> che ha fatto sorgere con Eduard
Norden più di un secolo fa l’interesse per gli artifici retorici
non solo in poesia ma anche nei discorsi apparentemente meno
“regolati” eppure preziosissimi per le loro architetture formali,
come il sofista di Leontinoi e giù giù fino a noi molti altri
scrittori hanno saputo mostrare.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Cosa ci dicono, nel duemiladiciannove,
la dottoressa Lucia Midolo, farmacista di Siracusa, ed il futuro
avvocato Gino Fazio nato e cresciuto a Lentini, figlio di braccianti,
se non che dovremmo guardarli un po’ come Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella? In quei due famosissimi <i>promessi sposi</i> essi si
rispecchiano per molte vicissitudini di quei primi anni Cinquanta
della Sicilia orientale siracusana, fra il capoluogo di provincia e
quella cittadina alacremente impegnata con la produzione ed il
commercio delle arance, volta chissà, forse solo sentimentalmente a
Siracusa ma già proiettata nell’orbita di Catania come polo
economico e culturale di riferimento. Essi parlano di <i>noi</i>:
parlano di <i>fughe di cervelli</i> per cercare lavoro — allora in
Svizzera per diventare <i>frontalieri</i>; oggi più verso la Gran
Bretagna o gli Stati Uniti, per far valere il merito dei propri studi
e delle proprie fatiche; parlano di amori contrastati dal destino e
però fiduciosi verso un aiuto provvidenziale, che con pazienza e
fatica e saggezza antica e popolare risolverà ogni garbuglio.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Sì, perché questo romanzo è
manifestamente manzoniano, e senza alcun timore di apparire
<i>antiquato</i>, proprio nei suoi elementi costitutivi: vi domina un
senso di profonda commozione verso la vita in ogni suo aspetto, che
si parli dei calli sulle mani di Saro Fazio, il padre di Gino, della
umilissima casetta abitata e governata da ‘Nzina, la madre del
protagonista, o che si parli dell’amore per la caccia di Paolo
Midolo, il farmacista padre della protagonista vera e imprescindibile
del romanzo, Lucia — nome e <i>segnatura</i> manzoniani <i>sans
dire</i>.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Domina, ancor più, una Provvidenza che
altrettanto in modo semplice e lampante si disegna come la <i>provvida
sventura</i> dello scrittore lombardo, e qui senza le grandi
complicazioni teologiche di cui si compiaceva Manzoni per mettere
ancor più in risalto l’abbandono fideistico e umilissimo di Lucia
(e poi di Renzo) nelle mani del Creatore.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Come un misterioso volere porta Gino e
Lucia a incontrarsi fra gli scompartimenti del treno per Catania dove
entrambi studiano all’Università (e con sapienza di narratore Elio
Cardillo inverte i termini della diegesi e ce li mostra nella prima
pagina già <i>in medias res</i>, un po’ spaventati ma
eccitatissimi alla Villa Bellini e poi al Bar Savia lì di fronte, a
dividere quello che sarà il vero <i>leitmotiv</i> del romanzo, il
“pasticcino al cioccolato” del titolo che torna a intervalli
regolari come le “stelle” alla fine di ognuna delle tre cantiche
dantesche), allo stesso modo misteriosamente, come la Provvidenza
manzoniana, quel volere soprannaturale fa morire troppo presto Paolo
Midolo poco tempo dopo una battuta di caccia, colpito da un
incolpevole amico di lunga data.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Altrettanto misteriosamente il destino
si accanisce su Gino quando il padre Saro viene reso inabile da un
colposo — ma determinante — incidente sul lavoro durante una
protesta sindacale; e così sarà un crescendo soffocante verso un
baratro che coglie i due ragazzi non più separati ma apparentemente
inermi ogni volta che le scongiure si abbattono su di loro.
L’interruzione degli studi per Gino, la separazione ed il silenzio
che lo costringono a non scrivere più alla sua amata a Siracusa, la
sordida truffa dello zio Rocco per appropriarsi della farmacia di
Lucia, le viscide profferte amorose di Carmelo che cerca di
violentare la giovane farmacista mentre entrambi lavorano nel
retrobottega, l’abbandono e la cessione dell’attività di
famiglia allo zio ingordo e irriconoscente: tutti questi elementi
potrebbero benissimo avere un parallelo appunto in quel
romanzo-modello per Elio Cardillo che sono <i>I Promessi Sposi</i>,
la fabbrica di tutta la tradizione romanzesca italiana successiva.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Ma è la bontà a prevalere in tutte le
pagine, una bontà che <i>commuove</i> senza diventare <i>patetica</i>
nel senso più vieto del termine. Quasi non vi si crede, e pare
davvero irrealistico lo sfoggio rutilante e bellissimo di amore ed
affetto che circonda i due giovani in ogni loro gesto quando a poco a
poco cercano di rialzarsi: e lo comprenderemmo da parte dei familiari
di Gino, che accolgono Lucia come una figlia; ma lo stentiamo a
credere durante il viaggio in treno che poco dopo il matrimonio li
porta in Svizzera — Lucia incinta e ancora nel segreto per non
frenare Gino ed il loro <i>viaggio della speranza</i> —, o
all’arrivo a Varese, o poi a Lavena Ponte Tresa, il piccolo centro
di fronte a Lugano dove resteranno per circa un anno o dove nascerà
Dina, la figlioletta che porta il nome della mamma di Lucia, morta da
tempo e prima dei fatti del romanzo. È tutto un sbracciarsi di
personaggi comprimari, grandi e piccoli, meridionali e
settentrionali, italiani, svizzeri, pugliesi campani siciliani
emigrati settentrionali trasferitisi al Sud — tutti non fanno altro
che mostrare il loro amore, la loro comprensione per le difficoltà
di Gino e Lucia, che brillano per gratitudine e magneticamente
attirano su di loro il bene come i santi le preghiere, le pene ed il
martirio e poi la corona di gloria della ricompensa celeste.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Il fatto è che noi stentiamo a
credervi non perché sia una esagerazione strappalacrime di Elio
Cardillo, uomo dai forti sentimenti e dalla fede profonda e
animosissima; quanto perché il cinismo che ci avvolge ogni giorno da
ogni parte ci ha reso più duri e cinici, mentre in queste pagine il
correttivo di bontà e semplicità arriva ad ogni riga, in quelle
piccole pennellate che Cardillo — lo ricordiamo, poeta in primo
luogo e per vocazione, e fotografo anche con la penna — si concede
quando descrive piccoli elementi del paesaggio o dei gesti dei
personaggi con un tono che risalta diversamente rispetto alla prosa
consueta, e la solleva e la illumina come per evitarne degli eccessi,
che il romanzo peraltro non segue mai. In due casi addirittura, il
vocabolario si innalza a voci che sono tipiche di chi pensa per versi
e non per prosa: “<i>La pietra bianca accecava, e i ficus fitti nel
color di mirto, sapevano </i><i><u>serenare</u></i><i> gli occhi:
infiniti i passeri che, se pur mille, diventavano un solo cinguettio.
E poi le cicale a </i><i><u>stridulare </u></i><i>in coro e il
cicaleccio nel vespro stordiva l’aria. In farmacia il dottor Paolo
apriva anche la porticina sul retro, e la corrente d’aria fresca
del mare lì dietro, profumata di sale, </i><i><u>frescava </u></i><i>farmaci
e gente</i>”. <i>Serenare</i>, <i>stridulare</i>, <i>frescava</i>,
sono parole di chi dipinge, di chi coglie immagini e suoni per farne
poesia, e non certo di chi scrive semplicemente (senza nulla
togliere, anzi, rafforzando!) un romanzo. Fosse mai semplice
scriverne uno: e questi tratti ancora manzoniani ce lo indicano — e
sono tratti del Manzoni più “poetico” del 1827, di quello che fa
ancora parlare i personaggi anche in una loro lingua più lombarda,
non certo di quel Manzoni del 1840 che ebbe ancor più successo di
pubblico ma fece arrabbiare il geniale glottologo Graziadio Isaia
Ascoli per quella lingua tanto diversa ed “estranea” alla Lecco
del 1628.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Non mancano quindi tutti gli elementi
che ricordiamo come familiari dal romanzo di Manzoni, alcuni in
parallelo, altri ribaltati: l’<i>addio ai monti</i> notturno è un
addio a Siracusa ed al rumore del mare; la vigna di Renzo devastata
dai Lanzichenecchi è la farmacia distrutta due volte, con l’inganno,
da Rocco e Carmelo, allagata, sventrata e poi quasi data alle fiamme
nel finale del romanzo; don Ferrante e donna Prassede sono ribaltati
un po’ in Carlo e Gaetana, e poi soprattutto in Nino e Luisella;
don Abbondio vigliacco e pusillanime è un don Mario che altrettanto
non svetta per coraggio, e se mitiga le sue paure con il grande
affetto verso Lucia e poi verso Gino, ha pure lui le sue pecche di
giovane prelato omosessuale — tributo ad un realismo attualizzante
che Cardillo descrive con garbo e sempre avendo in mente l’azione
di quella Provvidenza che rialzerà sul finale il parroco ormai
morente, facendolo somigliare a un Fra Cristoforo <i>in extremis</i>.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Cardillo non può e non vuole
sviluppare ogni traccia che gli si presenta fra le dita mentre
scrive: potrebbe parlare indifferentemente di ricette tradizionali
preparate a Lentini o a Siracusa, a Noto dagli avvocati Rizza o a
Varese o a Laveno Ponte Tresa, così come potrebbe approfondire le
lotte bracciantili quando racconta che il rinfresco del matrimonio di
Gino e Lucia si tiene alla Camera Socialista, o quando parla di Saro
e dell’incidente che gli spappola il ginocchio. Potrebbe strizzare
l’occhio ad uno sviluppo più salace della vicenda quando racconta
dei complimenti del chirurgo dottor Patti a Lucia sua collaboratrice,
che “<i>avevano il potere di farla sentire desiderata</i>” e “<i>la
infiammavano nel suo essere seducente, e stuzzicavano la donna che la
sua modestia non poteva nascondere</i>”, e magari potrebbe
accentuare maggiormente i pensieri di Gino che nella sua intelligente
semplicità si rende conto che qualcosa non quadra quando Lucia dice
di non volere il chirurgo al loro matrimonio. Potrebbe; ed in questi
ed altri casi sparsi lungo il romanzo non vuole; tace, sorvola, fa
intuire, proprio con l’arte immaginifica di un fotografo che sa
bene quanto non solo non si possa con la camera imitare la cinepresa
e quindi cercare di cogliere tutto molto di più che
nell’inquadratura ferma della fotografia, ma ancor più quanto sia
impossibile con qualsiasi telecamera perfino modernissima descrivere
ogni cosa e contemporaneamente nelle sue sfaccettature. Il motivo
vero è che la realtà va evocata, proprio come insegna Gorgia e come
indicano i poeti: e Cardillo è e rimane poeta anche nel romanzo.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Il fatto è che non si tratta di un
romanzo: la forma è quella, certo; ma la <i>vis</i> che anima le
pagine è quella di un <i>cuntu</i>, la storia narrata a sera dagli
anziani agli altri coetanei e soprattutto ai più piccoli. Lì non si
deve né si può spiegare tutto, e si deve lasciar correre
l’immaginazione, che è come il desiderio, perché non ha le regole
della vita quotidiana ma altre tutte sue. Un po’ come continuare a
sognare, come fanno ogni volta Gino e Lucia, di dividere un unico
pasticcino al cioccolato, “<i>un morso io, un morso tu</i>”.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-79583674252957670722018-03-08T22:16:00.002+01:002018-03-08T22:26:37.813+01:00Un salto di verità<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">La verità è ormai sempre </span><b style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">risultato </b><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">di un </span><b style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">dibattito</b><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">.</span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-size: 13px;"></span></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-size: 13px;"><i style="font-weight: bold;">Re-sultare</i>, il "<i>saltare indietro</i>" è appunto un <b><i>ex-itus</i></b>, un "<i>viaggio verso il fuori</i>", un'uscita dalla Caverna platonica. Da essa si esce danzando, quando si cerca la verità: <i><b>de-batuere</b></i>, "<i>battere per allontanare, per separare</i>". </span></span></div>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-size: 13px;">
</span><span style="background-color: white;"></span></span>
<br />
<div style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white;">Chi cerca la verità è un nicciano danzatore: </span></span></div>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white;">
</span></span>
<br />
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white;"><i>Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus</i></span></span></blockquote>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white;">
</span></span>
<div style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white;">raccomanda Orazio Flacco, e nel quinto paragrafo della <i>Vorrede</i> di Zarathustra Nietzsche afferma il fondamentale compito dei cercatori di verità,</span></span></div>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="background-color: white;">
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent;"><i>Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé </i></span><span style="background-color: transparent;"><i>per partorire una stella danzante</i>. </span></blockquote>
<div style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent;">Eppure, alla fine della Terza Parte del </span><i style="background-color: transparent;">Così parlò Zarathustra</i><span style="background-color: transparent;">, l'ultimo dei </span><i style="background-color: transparent;">Setti Sigilli (ovvero: il canto "sì ed amen")</i><span style="background-color: transparent;"> recita </span></div>
</span></span><br />
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Se mai tesi al di sopra di me cieli immoti, e volai con le mie ali nei miei cieli: </span></i> </blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Se nuotai senza fatica in profonde lontananze di luce, e l'uccello "saggezza" della mia libertà giunse: -</span></i></blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">- ma l'uccello "saggezza" parla così: « Ecco, non c'è sopra né sotto ! Slanciati e vola: in giro, in avanti, all'indietro, tu che sei lieve! Canta! non parlare più!</span><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">- </span></i></blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">non sono le parole, tutte, fatte per i grevi? Non mentono tutte le parole per chi è lieve! Canta! non parlare più ! ». </span></i></blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="color: #1d2129; font-size: 13px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">-</span><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">Come non dovrei anelare all'eternità e al nuziale anello degli anelli, - l'anello del ritorno?</span></i></blockquote>
<span style="color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Ma è un salto all'indietro, quel </span><i style="color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;"><b>re-sultato</b></i><span style="color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">: Walter Benjamin, nel suo </span><i style="color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Angelus Novus</i><span style="color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;"> dice che </span><br />
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-size: 13px;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><i>C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.</i></span></span></blockquote>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">Se una volta, in un tempo felice oltre le nostre convenzioni del "prima" e del "dopo" e i nostri computi delle clessidre, quella composizione si sarebbe potuta compiere, ora la nostra condizione è appunto il "dibattito" e non più il "dialogo": se la verità era un tempo un </span><i style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;"><b>symbolon</b></i><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">, un "</span><i style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">mettere assieme</i><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">", un "</span><i style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">recolligere sparsa fragmenta</i><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">" come Petrarca diceva dei suoi versi, adesso (ma sempre sul piano metastorico) a noi tocca affrancarci dal </span><i style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;"><b>diabolon</b></i><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">, dal "</span><i style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: verdana, sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">di-battito necessario</i><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: 13px; text-align: justify;">" in cui solo ci è consentito trovare la verità.</span><br />
<span style="background-color: white;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;">
<span style="color: #1d2129; font-size: 13px;"></span></span></span>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-size: 13px;"><b style="font-style: italic;">Videmus nunc per speculum in aenigmate; tunc, autem, facie ad faciem</b>, ricorda l'Apostolo delle Genti.</span></span></span></div>
<span style="background-color: white;"><span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-size: 13px;">
</span></span></span>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-10796023314573868102017-11-11T14:45:00.000+01:002017-11-11T18:43:55.456+01:00Musumeci e la laicità dello StatoIo sono cristiano: non cattolico, ma cristiano. Lo affermo inizialmente per non far sviare rispetto al breve ragionamento che esporrò. Aggiungo che sono un ingenuo, e affronterò la questione ingenuamente.<br />
<br />
Da qualche giorno è stata ripresentata come nuova (in verità è del 2015) una — legittima, ci mancherebbe — dichiarazione pubblica (ad esempio si può leggere <b><a href="http://www.ilgiornaleditalia.org/news/cronaca/872023/Un-Presepe-in-ogni-scuola-.html" target="_blank">questa pagina</a></b>) del neopresidente della Sicilia, Nello Musumeci, che aveva per tema, fra gli altri, l'identità cristiana della Regione che egli governerà.<br />
Vi si dice che per rifondare il senso dell'appartenenza, delle radici e della tradizione in un'epoca di smarrimento, dovrebbero essere allestiti in tutte le scuole primarie del territorio dei presepi natalizi (aggiunta mia, rispetto al semplice e schietto "presepe" della dichiarazione originale, perché qualcuno potrebbe pensare che vi sia qualche intento di rimettere in scena il De Filippo di "<b>Natale in casa Cupiello</b>", dato che lì nell'opera teatrale il presepe restava tutto l'anno, coperto da un piccolo sipario e poi riaperto alla visione).<br />
Nella dichiarazione si legge una aggiunta condivisibile: "<i><b>Nessun alunno deve sentirsi obbligato a concorrere, specie se professante culti diversi da quello cristiano; ma avere rispetto per le religioni degli altri, non significa doversi vergognare della propria</b></i>".<br />
<br />
Eppure, dopo decine di sentenze grandi e piccole sulla liceità di esprorre simboli religiosi nei luoghi pubblici, sentenze — aggiungo — contrastanti fra loro e quindi non totalmente dirimenti la questione, la laicità dello Stato in tutti i suoi organi e a tutti i livelli è ancora qualcosa da desiderare e non un dato acclarato, almeno come coerenza rispetto al dettato costituzionale: infatti due fra queste sentenze hanno coinvolto i massimi gradi di giudizio, senza venire a capo della decisione da attuare.<br />
Da una parte la Corte di Cassazione nel 2000 ha ritenuto l'esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici incompatibile con la libera scelta di laicità e pluralismo attivo del nostro ordinamento; dall'altra parte il Consiglio di Stato, che invece nel 2006 ha reputato coerente col dettato della Carta costituzionale la facoltà di esprorre i medesimi simboli religiosi.<br />
È poi intervenuto anche più di un grado di giudizio a livello europeo, fin quando la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha riconosciuto, con sentenza del 2011, il diritto all'Italia di poter esporre simboli religiosi nei luoghi pubblici.<br />
<br />
Ma se è sciolto un dubbio giuridico, il dubbio sostanziale e politico rimane.<br />
Immagino bene quindi che la questione — da Machiavelli a Giucciardini fino a noi — non sarà risolta in un'aula di tribunale, degnissima ed ineccepibile, ma incapace di risolvere un problema che non ha la sua radice nel diritto, quanto nella cultura che di quel diritto è alla base.<br />
Eppure, se la questione è quindi eminentemente "politica", mi chiedo come ancora si possa invocare da noi la religione a farsi strumento identitario "<b>contro</b>" altre religioni che — si afferma — sarebbero portatrici di uno snaturamento culturale. Non si stanno forse mescolando — impropriamente: ma lo dico da ingenuo, ripeto — le carte in tavola? Se la religione "<b>altrui</b>" è il problema, come può la religione "<b>nostra</b>" essere la soluzione, dato che entrambe hanno inficiato — a detta di chi afferma ciò — le rispettive culture?<br />
Perché se l'unica cultura inficiata dalla religione è la cultura "<b><i>degli altri</i></b>", allora la questione è presto risolta: noi abbiamo ragione, e loro — "<i><b>evidentemente</b></i>", "<i style="font-weight: bold;">come sempre</i>" — sbagliano. L'importante è trovarsi sempre dalla parte del "<b>noi</b>" e restarvi, se no sono guai seri.<br />
Se invece diciamo che "<b>noi</b>" siamo "<b><i>tolleranti e democratici</i></b>" perché abbiamo una tradizione e un fondamento religioso nella nostra cultura, in quale punto chi dice ciò ha smesso di considerare la nostra storia, i nostri atti colonizzatori, le nostre guerre (che sarebbero, per sua stessa ammissione, guerre motivate quindi anche dalla religione stessa)?<br />
Delle due l'una: perché se siamo diventati tolleranti e democratici grazie alla nostra cultura fondata <u style="font-weight: bold;">anche</u> sulla religione, allora le nostre guerre sono state solo una "<b><i>legittima difesa</i></b>" verso conflitti iniziati da altri contro di noi.<br />
Ma se non è stato così, allora — e se quindi ammettiamo che in quella ricostruzione <i>ad hoc</i> dei fatti che è stata la dottrina della "<i><b>guerra giusta e santa</b></i>" noi siamo stati parte attiva e non meramente passiva dei conflitti che hanno costellato la storia mondiale — quella religione ha fatto male anche alla nostra cultura, e noi siamo diventati tolleranti e democratici allorquando abbiamo iniziato a destinare la religione al solo "<b>foro interno</b>" della coscienza, e non più ponendola alla base degli ordinamenti statali che altrimenti abbiamo considerato "<b>confessionali</b>" in tutte le loro declinazioni — dal tardo Impero Romano, a quello Bizantino, a quelli europei a tutte le longitudini da ovest fino all'oriente russo.<br />
<br />
Tranne che il neopresidente Musumeci non si riferisse alla specificità siciliana in quanto e per quanto noi siciliani non abbiamo mai iniziato delle guerre motivate dalla religione (non se ne danno esempi nemmeno nella storia del variegato Regno di Napoli/Regno delle Due Sicilie).<br />
Ma ancora una volta: l'allora deputato dell'opposizione nell'Assemblea Regionale Siciliana parlava nel 2015 a titolo personale, o come rappresentante dello Stato in un suo organo elettivo quale è il consesso regionale? Ed in questi giorni, in cui sta nuovamente girando la sua dichiarazione di due anni fa, egli conferma o quanto meno non smentisce quella dichiarazione in quanto cittadino, o in quanto Presidente della Regione?<br />
<br />
Soprattutto: se non si tratta di una questione amministrativa riguardo l'esposizione di simboli religiosi in luoghi pubblici, o di più ampia natura giuridica, ma di un fatto politico e storico, quanto dovremo ancora aspettare per decidere che "<b><i>Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani</i></b>"?<br />
<br />
Lo ribadisco, da cristiano convinto e volutamente ingenuo rispetto alle questioni storiche, politiche, giuridiche e amministrative: quanto ancora dovremo aspettare per affermare che una cosa è la laicità dello Stato, una cosa è invece è la libertà di coscienza? E per quanto tempo ancora la religione dovrà purtroppo essere tirata per la giacchetta e usata per fini "<i><b>umani, troppo umani</b></i>"?<br />
<div>
<br />
Del resto, se la questione fosse invece sulla corretta interpretazione del presepe come genuina espressione confessionale cristiana o come più generico fatto culturale della tradizione italiana, non vedo perché lo snaturamento storico e teologico del presepe in quanto "<b>sacra rappresentazione</b>", ridotto a espressione tradizionale non liturgica, dovrebbe essere preferibile. Chi lo interpreta infatti così, ne smonta la spinta propulsiva cristiana, originaria, e ne svaluta la tradizione che inserisce il presepe stesso in tutte le rappresentazioni delle "<i><b>messe per gli illetterati</b></i>" che non riguardavano soltanto il Natale, ma anche la Pasqua e gli altri momenti forti dell'anno religioso.<br />
Quindi, a meno di non costruire presepi pur legittimi ma "<i>alternativi</i>", quelli che si invocano dovrebbero essere cristiani, se non specificamente cattolici, e dovrebbero mettere in scena un Bambino specifico in una precisa rammemorazione di un evento della Storia sacra.<br />
Ma se ciò è così, allora il presepe sarebbe da intendere come un fatto squisitamente religioso (per quanto non al livello di sacertà dei sacramenti e dei riti che li amministrano), e dunque, ancora una volta: perché svolgerli in luoghi pubblici che, per libera scelta dello Stato italiano, dovrebbero restare laici?</div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-67164924260350650912017-04-30T22:56:00.001+02:002017-04-30T22:56:13.153+02:00La danza delle età: una traduzione interlineare di "Pas de deux" di Jackie Kay<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">La poetessa scozzese Jackie Kay (a <b><a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Jackie_Kay" target="_blank">questa pagina</a></b> di Wikipedia delle informazioni su di lei) è la terza "poetessa nazionale" della Scozia moderna: con il termine proprio, è una <i style="font-weight: bold;">makar</i> (calco del <i>poietes</i> greco antico, corrisponde all'inglese attuale <i>maker</i>, dunque il "creatore" di poesia).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Mi è capitato di conoscerla attraverso un suo testo, <i style="font-weight: bold;">Pas de deux</i>, che è stato commissionato per un delicatissimo cortometraggio dello Scottish Ballet intitolato "<i><b>Haud close tae me</b></i>" diretto da Eve McConnachie (si può vedere a <b><a href="https://www.scottishballet.co.uk/event/short-film" target="_blank">questa pagina</a></b>, dove si legge anche il testo della poetessa) con un balletto interpretato da Mia Thompson e Jill Ferguson, coreografato da Christopher Hampson con la musica di Alex Menzies e la voce della stessa Kay che legge i suoi versi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Se il tema del balletto e della poesia è quello di cercare di indagare le connessioni fra le diverse percezioni di sé nelle diverse età della propria vita, il testo mi è sembrato tanto delicato e potente, tanto intimamente denso di immagini e suggestioni, da cercare di tradurlo dall'originale scozzese.<br />Ho preferito una traduzione interlineare, anche perché il cortometraggio stesso e la poesia si pongono deliberatamente in questo intreccio difficilmente solubile fra il sé "giovane" e quello "anziano", e dunque mi è sembrato doveroso mantenere anche con la versione una duplicità fra lo scozzese e l'italiano, e tentare così un dialogo più corpo a corpo con la poesia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="background-color: transparent; color: black; font-style: italic; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Pas De Deux </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">di</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Jackie Kay</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you take haud o’ me,</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span id="docs-internal-guid-3ec7e6df-c08c-6866-f436-245b217f8bef"><div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Vorresti prendermi</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Take haud o’ me</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">mi prenderesti</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Haud me in your airms and birl me aroon?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit;">tenendomi fra le tue braccia, facendomi</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">volteggiare tutto intorno?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you haud close tae me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Vorresti tenerti stretta a me</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Haud close tae me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">trattenerti stretta a me</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Lift me up and put me doon?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">farmi volare in alto e posarmi giù?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I’ll let go o’ you,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ti lascerò andare</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Let go o’ you</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ti farò andare</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Turn you roon an’ set you free</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ti volgerò d’intorno e ti libererò</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">You’re one step away</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">tu sei un passo più in là</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Two away frae me</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">due lontano da me</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">A pas de chat, a pas de deux.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">un pas de chat, un pas de deux.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you run aff wey me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Correrai via lontano da me</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Run awa wey me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">lontano e molto, correndo, da me,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tak my haunds and lead me astray?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">prenderai le mie mani e mi lascerai errabonda?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you hae a word wey me,</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dirai tu una parola per me,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Hae a word wey me,</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">avrai una parola per me,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tell me: yesterday’s no the day?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">dimmi: non è forse ieri il giorno?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I’ll keep time wey you,</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mi prenderò del tempo per te,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Bide close tae you</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">per stare accanto stretti tu ed io</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Yer body’s memory, fu o’ story,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">la memoria del tuo corpo, colmo di vicende,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Step by step we go – chassé, plié…</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">andremo insieme passo passo — chassé, plié...</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In your foot, your toe:</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">sui tuoi piedi, sulle tue dita:</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">You’re a magnificent glory.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fatta sei di gloria magnificente.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you please follow me?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Seguimi, per favore.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Still shadow me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sii l'ombra mia indivisa</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Until night becomes day?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">finché la notte non divenga giorno.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Keep up wey me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tienimi su</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Pas marché or brisé volé?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">pas marché o brisé volé?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Until the river meets the sea?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Fino a che il fiume non incontra il mare?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I’ll pace time with you, </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit;">Io sosterrò il tempo, con te,</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Keep faith with you</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Avrò fiducia in te e ti darò fiducia</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Up the banks and over the brae</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">sopra gli argini e sulle chine</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Until the moon draps tae the sea.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fin che la luna non scivolerà nel mare.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I’ll be your bridge, be your gateway</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sarò il tuo ponte, sarò il tuo passaggio</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Till you are me and I am ye.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fin che tu sei me ed io sono te.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you let go o’ me,</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mi lasceresti andare,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Things have sapped and ebbed away.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">le cose si sono intrise d'acqua ed insabbiate.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Would you let go o’ me,</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mi lasceresti andare,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Let go o’ me</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">andare via,</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The words have slid back tae sea.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">le parole sono scivolate indietro verso il mare.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Who are ye? Who’s me? Who’s me?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E tu chi sei? E chi son io, chi sono?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I’ll dance the night away</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Farò danzare la notte lontano</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Step by step away</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">passo dopo passo lontano</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">You go; I’ll follow</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">tu vai, io seguirò</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Don’t worry now: don’t go away.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">non preoccuparti ora, non andar via.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">It all begins and ends with a demi plié!</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tutto comincia e termina con un demi plié!</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Till I am you and you are me!</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Fin che io sono te e tu sei me.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Are you dancing, you say; you say</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Stai danzando, dici; e di’ allora</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Are you tomorrow?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">sei tu il domani?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Are you asking - what will you borrow?</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Stai chiedendo qualcosa — ma cosa porterai?</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The day just yesterday.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il giorno è appena ieri.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The night's dancing into the day.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La notte sta danzando dentro il giorno.</span><span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br class="kix-line-break" /></span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The moon’s dancing into the sea.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit;">La Luna sta danzando dentro il mare.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit;">Non è una poesia "lirica": si sentono fra i versi dei richiami, una modalità cantilenante da bardo; le ripetizioni fanno appunto pensare ad un testo nato e pensato per la recitazione a voce alta. Eppure gli slanci sono proprio quelli della danza, e nel ritmo del corpo che si avvicina e si allontana dal suo doppio più giovane o più vecchio, si innesta la dinamica fra le promesse della gioventù e l'esperienza maturata nel corso della vita, che vorrebbe lenire, guarire ed educare forse il sé ancora inesperto e scalpitante, irrequieto e ondivago.</span></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: inherit;">Non a caso è l'acqua a fare il gioco della metafora ricorrente nel testo della Kay: acqua di fiume e del mare — ma proprio in questa millenaria contrapposizione e fusione, la poetessa riesce a trovare un gesto espressivo che rinnova un'immagine che rischierebbe di esser fiacca e trita. Una delle strofe centrali dice appunto: </span></span><span style="font-family: inherit; font-size: 12pt; font-weight: 700; white-space: pre-wrap;">Would you let go o’ me,/ </span><span style="font-weight: bold; white-space: pre-wrap;">Things have sapped and ebbed away./ </span><span style="font-weight: bold; white-space: pre-wrap;">Would you let go o’ me,/ </span><span style="font-weight: bold; white-space: pre-wrap;">Let go o’ me/ </span><span style="font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">The words have slid back tae sea./ </span><span style="font-weight: bold; white-space: pre-wrap;">Who are ye? Who’s me? Who’s me?</span><span style="white-space: pre-wrap;">, cioè </span><i><span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">Mi lasceresti andare,/ </span><span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">le cose si sono intrise d'acqua ed insabbiate./ </span><span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">Mi lasceresti andare,/ </span><span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">andare via,/ </span><span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">le parole sono scivolate indietro verso il mare./ </span><span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">E tu chi sei? E chi son io, chi sono?</span></i></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: inherit; white-space: pre-wrap;">Non è forse nella danza, in una eterna danza immutabile, che quest'ultima domanda trova il suo senso vero pur non avendo una risposta definitiva?</span></div>
</span></div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-27005914476490827622016-09-15T14:15:00.001+02:002017-04-30T21:51:31.890+02:00Luoghi e nonluoghi<div xmlns="http://www.w3.org/1999/xhtml">
Le spianate, le piazze, i parcheggi pubblici e privati, sono la contrazione (ma esplosa, ma allargata a dismisura, insufflata dall'evaporazione dei rapporti umani come un vetro che mostri i suoi tenui spessori traslucidi, fusa in volumi che non hanno più un vero dialogo con l'Oltre) dell'Agorà o del Foro.<br />
<br />
Quello che, antico e sacro, sarebbe stato insieme <i><b>lucus</b></i> e <i><b>mundus</b></i>, il <i><b>koilon</b></i> vuoto e luminoso e puro di contro alla <i><b>silva</b></i> consueta in cui muoversi, di contro alla <i><b>yle</b></i> originaria del pieno, è ridotto ormai quasi solo alla contrapposizione delle forme, alla loro precisa o sgangherata giustapposizione metrica e commerciale.<br />
<br />
Vige la regola della "concentrazione" massimale, lo sfruttamento topologico del volume come accumulazione: l'<i>horror vacui</i> di memoria aristotelica è stato elevato a formulazione matematica, di tipo economico. <br />
Per questo quando si entra in un parcheggio vuoto o semipieno, si tentenna sempre fra un senso di incompletezza e di attesa, sempre meno invece con il senso di reale libertà che avrebbe accompagnato lo spirito degli Antichi.</div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-1486423645104611962016-06-19T19:52:00.001+02:002016-06-19T19:54:49.556+02:00Esperienze di traduzione: Gregory Orr, A house just like his mother’s — Una casa come quella di sua madre<span style="font-family: inherit;">Gregory Orr, <span style="line-height: 115%;"><i><b>A
house just like his mother’s</b></i></span></span><br />
<span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;"><i><b><br /></b></i></span></span>
<br />
<div class="MsoNormalCxSpFirst">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">A
house just like his mother’s,<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">But
made of words.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Everything
he could remember<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Inside
it:<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Parrots
and a bowl<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Of
peaches, and the bright rug<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">His
grandmother wove.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Shadows
also—mysteries<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">And
secrets.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Corridors<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Only
ghosts patrol.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">And
did I mention<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Strawberry
jam and toast?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Did
I mention<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">That
everyone he loved<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">Lives
there now,<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span lang="EN-US"><span style="font-family: inherit;">In
that poem<o:p></o:p></span></span></div>
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">He called “My Mother’s House?”</span></span><br />
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span>
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">***</span></span><br />
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span>
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">Gregory Orr, <b><i>Una casa come quella di sua madre</i></b></span></span><br />
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><b><i><br /></i></b></span></span>
<br />
<div class="MsoNormalCxSpFirst">
<span style="font-family: inherit;">Una casa come quella di sua madre, tale e quale<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Ma fatta di parole.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Tutto quel che lui poteva ricordare<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Dentro di essa:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">dei pappagalli e una ciotola<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">di pesche, e la coperta luminosa<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">cucita da sua nonna.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">E pure ombre— misteri<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">E segreti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Corridoi<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Guardati a vista soltanto dai fantasmi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">E dovrei accennare<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">alla confettura di fragole ed ai toast?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Dovrei spiegare<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Che tutti quelli che egli amò<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">Adesso stanno lì,<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<span style="font-family: inherit;">in quella poesia<o:p></o:p></span></div>
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;">
<span style="line-height: 115%;">che ha intitolato “La casa di mia madre”?</span></span></span><br />
<span lang="EN-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: inherit;"><span style="line-height: 115%;">(traduzione di <b>Tommaso Cimino</b>)</span></span></span>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-57074768332513787412015-06-24T12:50:00.001+02:002015-06-24T12:50:24.896+02:00La struttura dell'iki: Kuki Shūzō, Jean-Baptiste Perroneau ed il fascino<div style="text-align: justify;">
Kuki Shūzō nel suo <b><i>La struttura dell'iki</i></b> (la <b><a href="http://www.adelphi.it/libro/9788845909337" target="_blank">scheda editoriale</a></b>, e uno splendido scorcio in quest'articolo di Elemire Zolla del 1992 sul Corriere della Sera, a <b><a href="http://www.cristinacampo.it/public/apparire%20di%20elemire%20zolla.pdf" target="_blank">questa pagina</a></b>) afferma e a suo modo dimostra che la "<i>grazia</i>" assieme alla "<i>forza</i>" assieme al "<i>disinteresse</i>" sono i nodi su cui si incardina la seduzione femminile. "<i>Grazia</i>" di una bellezza conscia e dunque mostrata appena, non sbandierata; "<i>forza</i>" dell'autonomia di chi si sa osservato ma non per questo muta i propri comportamenti, ma anzi mantiene la distanza dallo spasimante (e che non spasimi troppo, se no la sua volgare foia troncherebbe il rapporto di sguardi e ammiccamenti!); "<i>disinteresse</i>" per l'amore sensuale anzitutto, per l'amore anche spirituale altresí, perché la seduzione non ha scopo ed è per questo che raggiunge un fine (dal <i><b>Dao De Jing</b></i> fino ad oggi è così per tutte le filosofie sino-giapponesi, per ogni aspetto dell'esistenza).</div>
<div style="text-align: justify;">
E Madame de Sorquainville ritratta nel 1749 da Jean-Baptiste Perroneau?</div>
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Shūzō dichiara più volte nei tre capitoli del suo saggio filosofico che non vi sono equivalenti linguistici (né tanto meno concettuali) nelle lingue occidentali per rendere il termine "<i>iki</i>" — per il fatto che non si tratta di volgere una parola, ma un'esperienza, e questa è fatta (fenomenologicamente: Shuzo è stato studioso di Husserl e amico negli anni '30 del Novecento di Martin Heidegger, quando questi era di Husserl collaboratore) anche dal contesto irripetibile in cui gli eventi accadono. Zolla invece è più possibilista circa la 'traducibilità', per quanto sia rispettoso nella sua recensione delle idee di Shūzō: ma il filosofo giapponese aveva in mente qualcosa di simile all'ipotesi di Sapir-Whorf, mentre Zolla viene dopo gli Universali di Chomsky.</div>
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Il ritratto in ogni caso parla a noi, dice <i>Qualcosa</i>, già solo per il fatto che definitivamente la regola medievale che impone il frontale pieno soltanto alla Divinità è ormai consciamente superata (la "<i>grazia</i>" dell'<i>iki</i>) ma non viene smaccatamente rotta — la storia del ritratto occidentale dal Rinascimento verso di noi ne è una evoluzione, per Perroneau come per i grandissimi.</div>
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Eppure lo sguardo un po' declinante (guarda il pittore Madame de Sorquainville, o forse il cavalletto? Viene in mente Michel Foucault che analizza "<i>Las meniñas</i>" di Velasquez, visto che in ogni ritratto gli osservati sono gli Osservatori), la piega delle labbra con il rossetto chiaro, la luce in fondo grigia che filtra dalle finestre alla sinistra del quadro (ci saranno delle tende? Sarà un pomeriggio della Francia del Nord, umbratile?), gli zigomi tesi com'è teso il mento, la linea curva della schiena cui corrisponde leggermente il gioco dei piani delle gambe, del busto, delle spalle leggermente ruotate e della testa, tutto parla di "<i>iki</i>" — persino il tenersi delle mani della dama.</div>
<div style="text-align: justify;">
Sarà la linea "<i>serpentinata</i>" (trattenuta ormai dal Classicismo: ne aveva parlato Mario Praz per il tardo Barocco ed i suoi sviluppi fino al Neoclassicismo appunto), o una Kuṇḍalinī che proprio in quella linea che va dal bacino della dama fino all'acconciatura dei capelli, biforcuta, si risveglia, ma un "<i>iki</i>" e il suo fascino si snodano pure in questo dipinto, in quel che non dice soprattutto.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrk152pNDtm1euTPBQSNAhQg5mP0hUvIjf_CUD9q7S82xEkaB46lqnRr4P_3PWBJZYKt4XaBGuRT1YL_Vwqc7gkaVG3d9pXzR6q6DZpIdMSRDRDITwTwgpaGC1vcGBCIcs8JPuD0CZs2Y/s1600/478px-Perronneau_Madame_de_Sorquainville.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrk152pNDtm1euTPBQSNAhQg5mP0hUvIjf_CUD9q7S82xEkaB46lqnRr4P_3PWBJZYKt4XaBGuRT1YL_Vwqc7gkaVG3d9pXzR6q6DZpIdMSRDRDITwTwgpaGC1vcGBCIcs8JPuD0CZs2Y/s320/478px-Perronneau_Madame_de_Sorquainville.jpg" width="254" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-52271103891164172022014-12-30T22:02:00.002+01:002014-12-31T00:09:43.794+01:00Su una poesia di Vittorio Sereni<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;"><a href="http://musicasognata.blogspot.com/" target="_blank">Salvatore Tinè</a> mi ha invitato ad una riflessione su questi bei versi di Vittorio Sereni: gli rispondo con piacere e <i>a caldo</i>, quindi chiedo scusa in anticipo per le zoppicanti sciocchezze che potrebbero essermi scappate...</span></div><div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">*** *** *** ***</span></div><div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;"><i>Nella neve</i></span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><span style="font-family: inherit;">Edere? stelle imperfette? cuori obliqui?</span><br />
<span style="font-family: inherit;">Dove portavano, quali messaggi</span><br />
<span style="font-family: inherit;">accennavano, lievi?</span><br />
<span style="font-family: inherit;">Non tanto banali quei segni.</span><br />
<span style="font-family: inherit;">E fosse pure uno zampettio di galline -</span><br />
<span style="font-family: inherit;">se chiaro cantava l'invito </span><br />
<span style="font-family: inherit;">di una bava celeste nel giorno fioco. </span><br />
<span style="font-family: inherit;">Ma già pioveva sulla neve, duro si rifaceva il caro enigma. </span><br />
<span style="font-family: inherit;">Per una traccia certa e confortevole </span><br />
<span style="font-family: inherit;">sbandavo, tradivo ancora una volta.<span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: xx-small; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;"><span class="textexposedshow"> </span><o:p></o:p></span></span><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Intanto le parole.<o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Cos’hanno in comune le <i>edere</i>, delle <i>stelle imperfette</i> e dei <i>cuori obliqui</i>? Sono ponti caduchi, traballanti, per indicare dei percorsi che alla fine della poesia si riveleranno inesistenti. Le <i>edere</i>, che sono sempreverdi, possono seccarsi, eppure restare tenacemente avvinte alla pianta o alla pietra dove hanno posto radice: come certi sogni che incartapecoriscono ma pur perdendo linfa non perdono la loro forma, quasi mummie o gusci di crisalide. Le <i>stelle</i> possono essere benissimo imperfette, solo che si “con-sideri” la loro natura: sono <i>pori</i> come per Anassimandro, sono ponti come per Victor Hugo — vale a dire che sono il pensiero, che è imperfetto e per questo motivo paragona e si pone esse stesse come confronto nel “con-siderare”. Il pensiero è imperfetto infatti per il motivo che porta Sereni a dire <i>cuori obliqui</i>: la ragione è incapace di comprendere quale sia il mistero di quel richiamo che viene dall’alto (i <i>messaggi</i> del verso 2), ed il cuore <i>scivola</i> rispetto al suo piano (<i>oblinquo, obliquus</i>) e cerca, ancora una volta, di porsi a cavallo, come un ponte.<o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Ma è l’imperfezione, essenziale nella natura dell’edera (che ha bisogno di un supporto, di un sostegno) secondo il concetto umano, accidentale per le stelle ed il cuore, a spiegare perché i messaggi sono <i>lievi</i>: essi non possono <i>dire</i>, non possono <i>indicare</i> (<i>deiko, deixis</i>) ma solo <i>farsi vedere con dei cenni</i>, mostrare la loro <i>presenza</i> cercando di non turbare per questo la libertà dell’osservatore: un po’ come il <i>cenno</i> dell’Albero della Vita<i> </i>nel Paradiso Terrestre. Dicessero qualcosa, allora la direbbero al modo dell’Angelo della Prima Elegia Duinese, <i>tremendamente</i>. Ma pur così quei <i>segni</i> non sono <i>banali</i>, ma si lasciano cogliere, e forse irretiscono ancor di più l’osservatore: lo fascinano, come una sorta di edera o tralcio di vite affascinò i primi due abitatori della Terra.<o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Sono <i>segni</i> non <i>banali</i> proprio per la loro levità e il loro apparente disordine: cos’è del resto lo <i>zampettio di galline</i>, se non il sovrapporsi in uno spazio circoscritto, chiuso, di segni e percorsi? Non ha nemmeno la pretesa di occupare la totalità dell’orizzonte interno di quello spazio: non è un moto puramente browniano, caotico e forse per questo anche ergodico; lo <i>zampettio di galline</i> è apparentemente senza senso, senza significato o con un significato che implica la cooperazione interpretativa, il coinvolgimento — i <i>segni</i>, per quanto <i>lievi</i>, per quanto esigui e tendenti alla frustrazione semantica, chiedono la saturazione dell’attenzione, della decisione e della volontà: sono un <i>chiaro</i> […] <i>invito</i> che arriva, coerentemente, da una apertura marginale ed eccentrica di comunicazione, la <i>bava celeste nel giorno fioco</i>. La <i>bava</i> del resto, è quella delle lumache, che lasciano i loro segni di percorso argentei e luminescenti sui muri, ma è destinata a sparire alla prima pioggia.<o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">La <i>pioggia</i> infatti non cade sulla terra al verso 8, ma sulla <i>neve</i>: cosa dovrebbe mantenere, quella neve? La vita, ma per sottrazione di caldo, del suo elemento caratteristico; e per questo può cancellare i passi delle <i>galline</i>, che non raschiano la terra, non la arano né la dissodano come farebbe un <i>segno</i> pieno di significato, ma la sfiorano solo in superficie: il <i>segno</i> delle <i>galline</i> non è <i>charakter</i>, non è quello del <i>charassein</i>, mentre il <i>caro enigma</i>, che è proprio la vita come dici tu, si indurisce di morte. Dinanzi alla cancellazione del segno, che mostra la possibilità di un percorso di vita, la pioggia copre col suo rumore termodinamico di entropia le tracce che persino il freddo avrebbe conservato, forse.<o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Non a caso la <i>traccia certa e confortevole</i> rispetto a cosa fa <i>sbandare</i>? Rispetto a quale con-siderazione? Quella dell’imperfezione, della finitudine umana e personale? O rispetto, come tu dici, all’ideale che viene <i>tradito</i>? Io credo che qui stia emergendo un’idea di <i>fiducia</i> mancata, anzi, di piena <i>sfiducia</i>, proprio nell’idea di <i>direzione</i> di quel <i>segno</i>: Sereni non ha fiducia nella propria capacità di orientarsi, che vien prima del <i>naufragare</i> o meno di Leopardi. Sereni forse sente che il compito del <i>ponte</i> (come quello del <i>pontifex</i>, che fa sacre le sponde segnando un cammino, congiungendo), che è quello di <i>tradere</i>, sta mancando alle sue forze: non tanto e non solo perché la strada <i>certa e confortevole</i> invita maggiormente. Ma perché la labilità dei segni, la cooperazione richiesta nel comprenderli sono fuori la sua portata. Leopardi <i>vuole</i> naufragare — Sereni <i>è costretto</i> a tradire: non è un chierico à la Benda, ed anzi ha ben chiaro che il suo <i>sbandamento</i> avviene rispetto ad una via. Ma non può seguirla, perché ne andrebbe della sua libertà di sbagliare.<o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Diciamo che se non tradisse, si porrebbe come un nuovo Adamo o come Cristo: ma quando dice che il <i>caro enigma</i> si <i>rifaceva</i> <i>duro</i>, è perché la <i>pioggia</i> (o il <i>lavoro</i>, se la volessimo vedere con le parole e le nozioni di Lucaks che tanto ti stanno a cuore) l’ha reso <i>morbido</i>, magari per un attimo, che è quello della scelta. <o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span class="textexposedshow"><span style="background: white; color: #333333; font-family: inherit; font-size: medium; line-height: 115%; mso-bidi-font-size: 10pt;">Ma poter scegliere non significa saper scegliere: nel Talmud si dice che “<i>L'uomo giusto non è senza peccato. L'uomo giusto conosce il suo peccato e lo espia, perché difficile non è fare la cosa giusta, ma sapere cosa è giusto; e una volta che si sa che cosa è giusto, è difficile non farlo</i>”.<o:p></o:p></span></span></div><span style="font-family: inherit;"><br />
</span><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><br />
</div>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-75702394822002974682014-03-08T20:25:00.000+01:002014-03-08T20:25:55.120+01:00Io l'8 tutto l'anno<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tutti gli anni si ripete, purtroppo, un rito in questa giornata: triste, dal mio punto di vista, ma forse necessario, se la regolarità è tale...</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Alcuni uomini fanno pubblica professione di penitenza per colpe non a loro attribuibili personalmente, e alcune donne mostrano un astio generalizzato e onnipervadente che coinvolgerebbe perfino altre donne, colpevoli di poca o cattiva militanza...</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecco, è un giorno di militanza proprio perché non si esce dallo schema del sacrificio umano, del rito del sangue — si uccide una vittima, si mostra la violenza, si gettano fiori per compiacere e scusare simbolicamente, giustificare quindi quella stessa violenza che si perpetra, e che forse è impossibile non commettere. È l'uccisione della vittima sacrificale con cui René Girard spiega la nascita e la dinamica simbolica delle società. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La violenza, del resto, è identificata e ripetuta, sia all'interno del rito, sia fuori da parte di chi compie omicidi: e oggi, altrettanto simbolicamente e in modo sanguinosamente concreto, un uomo ha ucciso sua moglie, e una moglie e una figlia hanno ucciso il loro marito e padre...</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La statistica certo, pende purtroppo dalla parte delle vittime femminili: ma la statistica non spiega la violenza, la descrive e la misura.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi, una spiegazione di quel meccanismo, che mi arriva tanto dolce quanto inattesa, e che mi indica non una soluzione, ma un orizzonte diverso.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dice Vittorino Andreoli, in un suo saggio di qualche tempo fa, che siamo in una "</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Società senza padri</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">", e che il problema sta lì — nella mancanza di una figura autorevole, al di là del sesso biologico di chi la incarni, contrapposta alla Grande Madre, di cui pure si sono perse le tracce nel suo significato di accoglienza fondante.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E vengo alla spiegazione per me: Martina, una mia ex-alunna dell'anno passato, mi scrive raccontandomi di aver ricevuto una mimosa in dono e di aver pensato subito a quel giorno in cui io regalai alle donne della scuola dei fiori, che finirono dalle custodi, esposti all'ingresso.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mi dice, Martina, di essersi commossa in un ricordo di nostalgia.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecco: l'occasione di quel mio dono non era l'Otto Marzo, ma l'entrata della Primavera — ma cosa importa? La memoria ricrea l'Essere, dà ad esso un ordine.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E allora per uscire dal rito della violenza forse, assieme a tutti i gesti concreti e giustissimi e importantissimi, urgentissimi, serve anche qualcosa di lento, apparentemente inutile, senza scopo, non efficace in quanto non ordinato a un obiettivo. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dico la gentilezza, la bellezza, la cortesia: e non penso al recente Oscar di Sorrentino, ma ad un </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">manifesto </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">di Nuccio Ordine, un libro bellissimo e appassionato dal titolo </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">L'utilità dell'inutile</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, uscito l'anno scorso da Bompiani. Vi si predica, con le parole sue e quelle di tanti letterati, artisti, filosofi, scienziati, pensatori, quel che il titolo afferma — vi sono </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">cose</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> che non possono essere misurate, calcolate, pesate, valutate in termini di efficacia, efficienza e prontezza, e che al contempo sono quanto di più </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">utile</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> vi sia per l'umanità, ogni persona e ogni istante di vita. Appunto la Bellezza, la Gentilezza, la Cortesia, il Dono e il Sacrificio, il Tempo e lo Spazio condivisi, allargati dalla partecipazione comune.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Questo non è un modo di sminuire la Scienza a scalpito di un sentimentalismo di maniera, illogico nel senso pieno del termine: questo è un modo di allargare la Scienza alla occidentale, al maschile (penso a un libro fondamentale di David Noble, intitolato </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Un mondo senza donne</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, che indaga la sociologia della scienza e la politica europee dal Medioevo ad oggi come il progetto e il processo concreto e continuato di escludere le donne da qualsiasi forma di potere e persino di rappresentanza all'interno della religione, della politica e della scienza, che si sono strutturate come </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">mondi maschili</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">), verso una visione più completa, non maschile o femminile, e che volutamente vada oltre quel che si è cancellato e oscurato da parte degli uomini e lo recuperi come una porzione fondamentale di quel mondo e del Mondo in generale. Ripeto, non secondo il sesso biologico di chi incarna il potere: oggi, per quanto rari, si danno casi di logiche maschili promosse da donne al potere — proprio perché sono rare le donne al potere.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Voglio augurare a un </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">tu</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: bold; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">donna</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e alla donna che cresce con te, di essere sempre felici e sempre gentili, belle e cortesi con voi stesse e con il mondo che vi circonda: essere tali non significa essere arrendevoli o condiscendenti, ma decise invece, e accoglienti, come la Grande Madre.</span></div>
<span id="docs-internal-guid-d0815419-a31f-7aaf-c9de-2b9210389bec"></span><br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.15; margin-bottom: 10pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E se anche questa fosse una visione maschile e storpiata, gentili nel criticarla e costruire una visione migliore, senza la violenza.</span></div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-48131116839663443612013-12-12T21:33:00.000+01:002013-12-12T21:33:01.437+01:00Cos'è la Grazia?<div style="text-align: justify;">
Questo pomeriggio ho avuto una discussione con una mia carissima amica, che non nomino, ovviamente.</div>
<div style="text-align: justify;">
Parlavamo del fatto di ringraziar<b>ci</b>, e di <b>ringraziare</b>: la sua idea è diversa dalla mia, forse perché lei crede che due amici non solo <i><b>non abbiano bisogno</b></i>, ma non <i><b>debbano </b></i>forse nemmeno ringraziarsi, come se questo fosse già di per sé una specie di diminuzione rispetto alla portata di condivisione spirituale che un'amicizia porta, offre e scatena. Ma sto interpretando il suo pensiero, queste non sono le sue parole...</div>
<div style="text-align: justify;">
Volevo però condividere le mie.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
*** *** *** *** *** *** *** *** *** </div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222; text-align: start;"><span style="font-family: inherit;">Che parola difficile,</span></span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">carissima ***:</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">come tutti i concetti semplici, non ci sono appigli e pieghe di significato che possano aiutare ad afferrare il contenuto, a visualizzare un'idea della <i style="font-weight: bold;">grazia</i>.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> È <i style="font-weight: bold;">grazia</i>, per caso, l'<i style="font-weight: bold;">arrendevolezza</i> verso le emozioni forti, la <i style="font-weight: bold;">leggerezza</i> di contro alle esagerazioni? Solo in parte: potremmo immaginare situazioni dove il giusto sia rispondere polarizzando, mettendosi agli estremi, scegliendo <b>con decisione</b> di stare e cercare il Mezzo, l'equilibrio.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Allora <i style="font-weight: bold;">grazia</i> è l'<i style="font-weight: bold;">equilibrio</i>? Probabilmente sì: ma non il raggiungimento dell'equilibrio, quanto la sua ricerca. </span><span style="font-family: inherit;">Una ricerca che prova ad afferrare l'inafferrabile: poiché l'equilibrio non è qualcosa di</span><span style="font-family: inherit;"> </span><b style="font-family: inherit;">statico</b><span style="font-family: inherit;"> ma di</span><span style="font-family: inherit;"> </span><b style="font-family: inherit;">dinamico</b><span style="font-family: inherit;">.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> E con cosa si afferrano gli Oggetti del Mondo? Con le <i style="font-weight: bold;">mani</i>, no?</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Bene, <i style="font-weight: bold;">cháris</i> (greco, da cui <i style="font-weight: bold;">gratia</i> e <i style="font-weight: bold;">caritas</i> del latino, o <i style="font-weight: bold;">har</i> del sanscrito), che è il <i style="font-weight: bold;">dono</i>, è sorella di <i style="font-weight: bold;">chéir</i>, la <i style="font-weight: bold;">mano</i> (pensa a <i style="font-weight: bold;">chir-urgo</i>, "colui che lavora, <i style="font-weight: bold;">érgon</i>, con la mano, <i style="font-weight: bold;">chéir</i>" appunto). La <i style="font-weight: bold;">mano</i> che <b style="font-style: italic;">dona</b>, la <i style="font-weight: bold;">mano</i> che afferra, concretamente e concettualmente la Cosa.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Noi, alla lettera, conosciamo così: sempre e in ogni caso.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Conosciamo con l'Occhio, e vediamo la Luce.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Conosciamo con la Mano, e afferriamo le cose che poi doniamo: "<i style="font-weight: bold;">Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date</i>".</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Mi dirai: "<i>C'è un modo ancor più semplice di conoscere? Più intimo e personale?</i>".</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Conosciamo con la Bocca, come i bambini che portano tutto alle labbra e alla lingua: <i style="font-weight: bold;">sapio</i>, che vale <i style="font-weight: bold;">assaggio</i>, <i style="font-weight: bold;">percepisco il sapore</i>, ma è proprio la radice di <i style="font-weight: bold;">sapienza</i>, che non a caso non è questione di cervello, ma di Ragione e Sentimento, Corpo e Spirito messi insieme. "<i style="font-weight: bold;">Siate il sale della Terra</i>".</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> La bocca dice buone e cattive parole, bacia e insulta, mangia e dà da mangiare (pensa ai bimbi che, quando non si fidano di un cibo, lo accettano se un po' morso dalla mamma, che li nutre quindi nuovamente di sé): dunque la bocca conosce, intimamente, la vita delle cose, specie la vita delle cose donate.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Perciò non c'è cosa migliore di ringraziare, sempre.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Non è un atto di poca fiducia, un filtro, un riparo: è un manto che avvolge le cose per offrirle in dono — si chiama <i style="font-weight: bold;">affetto</i>, <i style="font-weight: bold;">amore</i>, <i style="font-weight: bold;">gioia</i>.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> È la condizione per cui e attraverso la quale si è esseri umani: la <i style="font-weight: bold;">ver-itas</i>, perché <i style="font-weight: bold;">Ver/Vir</i> è l'Umano, uomo o donna, giovane o anziano, che vanno tutti ringraziati e conosciuti attraverso quest'atto. La comunione vivifica e rende possibile questo dono conoscente.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> Poi dalla Cosa, donata e ricevuta, si toglie questo velo d'affetto e d'amore, questo manto: <i style="font-weight: bold;">a-létheia</i>, greco, cioè il "togliere il velo", "dischiudere" — è la parola che i Greci usavano per la Verità, e quel <i style="font-weight: bold;">léthe</i> è un <i style="font-weight: bold;">oblio</i>, il <i style="font-weight: bold;">manto</i> del Tempo. Ma ogni cosa, ogni fatto, ogni sentimento è presente in noi solo come <i style="font-weight: bold;">ricordo</i>, e quel togliere il manto dell'oblio serve a rendere vivo nuovamente ciò che si è vissuto in comunione con Sé e con il Mondo: serve, non a caso a <i style="font-weight: bold;">ri-cor-darlo</i>, a ridarlo al Cuore.</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> E non si prova lì, l'affetto, non si prova lì, la gioia?</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> E la <i style="font-weight: bold;">grazia</i>, non si prova forse lì?</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"> E non si conosce, forse, anche col Cuore, soprattutto col Cuore?</span></div>
<div style="background-color: white; color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="text-align: start;"> Dunque non c'è nulla di </span><i style="font-weight: bold; text-align: start;">affettato</i><span style="text-align: start;"> in [un] ringraziamento: nulla cioè che non sia </span><i style="font-weight: bold; text-align: start;">affetto </i><span style="text-align: start;">gioioso, vero e svelato, reso vivo ogni volta e dato al cuore che lo riceve.</span></span></div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-2466368343054605732013-11-21T14:43:00.001+01:002013-11-21T14:43:29.389+01:00Tradurre Wallace Stevens, "From the Misery of Don Joost": la tempesta della vita<div style="text-align: justify;">
Da tanto non traducevo una poesia: leggere <i><b>in lingua</b></i> è questione squisitamente mentale, di abitudine, di familiarità. Tradurre, altra cosa, su cui ci si interroga sempre. Del resto, interpretare, tradurre, capire, comprendere, sono attività che possono essere svolte in molti modi: affidandosi a guide o segnando da soli il percorso — ammettendo di dare a quel <i style="font-weight: bold;">da soli</i> il valore specificato dal <i style="font-weight: bold;">temporaneamente</i>, e <i style="font-weight: bold;">occasionalmente</i>, poiché nessuno è mai realmente solo, tanto meno quando traduce.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ho trovato questi versi tratti dalla raccolta <i style="font-weight: bold;">Harmonium</i> di Wallace Stevens, la prima pubblicata: la poesia si intitola <i>From the Misery of Don Joost</i>, e su di essa non vi sono molte informazioni dell'autore. Il componimento viene avvicinato da Stevens a Don Chisciotte (come si dice in <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/From_the_Misery_of_Don_Joost" style="font-weight: bold;" target="_blank">questa pagina</a>), ma probabilmente è molto più interessante in via preliminare scoprire invece gli indizi che vengono da <i>Joost</i>.</div>
<div style="text-align: justify;">
Intanto il testo (l'edizione che utilizzo è quella di <i style="font-weight: bold;">The Collected Poems of Wallace Stevens</i>, Alfred A. Knopf, New York, 1954) :</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>I have finished my combat with the sun;</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>And my body, the old animal,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Knows nothing more.</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>The powerful seasons bred and killed,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>And were themselves the genii</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Of their own ends.</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Oh, but the very self of the storm</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Of sun and slaves, breeding and death,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>The old animal,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>The senses and feeling, the very sound</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>And sight, and all there was of the storm,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Knows nothing more.</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Ho finito la mia lotta con il sole;</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>e il corpo mio, vecchio animale,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>nulla sa più.</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Le stagioni potenti procrearono ed uccisero,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>e furono esse stesse i genii</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>della loro propria fine.</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>Oh, ma il più puro sé della tempesta</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>di sole e schiavi, morte e riproduzione,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>il vecchio animale,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>i sensi e le emozioni, l'assoluto suono</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>e la vista, e ciò che tutto fu della tempesta,</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>nulla sa più.</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b><br /></b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
Tracce di Don Chisciotte, è vero, paiono difficili da trovare: non così invece per San Giodòco, <i>Judoc</i> in Bretone, da cui è venuto il nome (frequentissimo nei Paesi Bassi)<i> Joost</i>, che è equivalente all'italiano Giovanni e Giacobbe — quest'ultimo risulterà interessante anche in seguito.</div>
<div style="text-align: justify;">
Judoc/Joost è un santo anticipatore di Francesco d'Assisi: lasciò nel 636 dopo Cristo tutte le paterne ricchezze, il trono e il titolo di conte, si diede alla vita povera ed eremitica, e compì un pellegrinaggio a Roma percorrendo la <i>Via Francigena</i> ritornando sano e salvo nella natia Ponthieu (a nord di Parigi, in Piccardia), dove morì poco dopo il rientro in patria nel 688, ove era nato nel primo anno del secolo.<br />
Il primo indizio importante (se si tralascia di pensare invece al riferimento a Don Chisciotte dell'autore sfruttando il lungo pellegrinaggio, che sarebbe dunque un <i>a symbolo ad concretum</i>) è il fatto che il corpo di San Giodòco sia rimasto, secondo le testimonianze, incorrotto e incorruttibile. Ecco allora una prima luce che possa spiegare il verso 2, "<i>il corpo mio, vecchio animale</i>": che difatti non viene cancellato o distrutto dalla <i><b>tempesta</b></i>, e che forse non ha bisogno nemmeno di <i style="font-weight: bold;">sapere</i> qualcosa anziché <i style="font-weight: bold;">nulla</i>.</div>
<div style="text-align: justify;">
Importante è allora vedere da cosa derivi tale <i style="font-weight: bold;">tempesta</i>: essa è la <i style="font-weight: bold;">lotta</i> con il <i style="font-weight: bold;">sole</i>, che può risultare più comprensibile riguardando a <i>Joost</i> in quanto <i>Giacobbe</i>, il patriarca che per una intera notte lottò con Jahvè, senza esserne sconfitto che all'alba e con un colpo all'articolazione dell'anca teso a bloccare il nervo sciatico, un colpo apparentemente scorretto e dettato dalla difficoltà di battere questo fortissimo uomo determinato nel voler <b>vedere il volto</b> del suo avversario. Una mossa divina che colpisce i <i style="font-weight: bold;">senses and feeling</i>, per bloccare i <i>sensi</i> e fiaccare le <i>emozioni</i> e spegnere un ardimento che (questo sì), come Don Chisciotte, rende Giacobbe/Joost degno di diventare Israele, Padre delle Nazioni seppur con una (parziale, inevitabile) sconfitta contro Dio, tutta umana. Il <i style="font-weight: bold;">sole</i>-Dio per eccellenza quindi lotta con Joost, e questi non è sconfitto, tant'è che <i style="font-weight: bold;">knows nothing more</i>, non sa più alcunché: capisce soltanto che le <i style="font-weight: bold;">stagioni potenti</i> della sua vita, i suoi pellegrinaggi lungo il mondo, le vicende biologiche e universali del tramandare sé stessi e del morire, sono completamente liberi e naturali ed affidati ad una logica loro propria, come Stevens dice ai versi 5 e 6. Per tale ragione l'intera vita è dal punto di vista umano una <i style="font-weight: bold;">lotta</i> e una <i style="font-weight: bold;">tempesta</i> ove possono trovarsi gli <i style="font-weight: bold;">schiavi</i> (l'Umanità intera) e perfino i simboli della religione e della speranza, quel <i style="font-weight: bold;">sole</i> che stavolta cristianamente (se prima lo scontro è con il Dio-Padre dell'Ebraismo) è accanto, accomunato, agli Ultimi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa furia rapinosa non fa comprendere, non consente di afferrare un significato oltre il ciclico nascere e morire: tant'è che il <i style="font-weight: bold;">corpo</i> è subito, immediatamente ridotto al <i style="font-weight: bold;">vecchio animale</i>, ma nel senso preciso, aristotelico e poi tomistico e in genere medievale del termine — il corpo appunto nelle sue funzioni del <i style="font-weight: bold;">breeding and death</i>, una "riproduzione, procreazione, nutrimento, sostentamento" e una "morte". Ma quel <i style="font-weight: bold;">breeding</i> che ho continuato a tradurre come "trasmissione della vita", lo è anche in senso più lato, vale a dire nel significato di "allevamento" e dunque "educazione": il viaggio attraverso la <i style="font-weight: bold;">lotta</i> e la <i style="font-weight: bold;">tempesta</i> è una educazione tanto quanto il pellegrinaggio di San Giodòco, che al suo ritorno a casa è pronto a morire, ad uscire dalla necessità di <i style="font-weight: bold;">sapere</i> qualcosa nel Mondo. Ci si educa nel viaggio: ecco forse il perché della spiegazione attraverso Don Chisciotte da parte di Wallace Stevens. Ci si educa con una <i>purezza</i> di <i style="font-weight: bold;">suono</i> e di <i style="font-weight: bold;">vista</i> (versi 10 e 11) che poi si annichilano, non hanno più bisogno di sapere altro e più di quel che hanno visto, e possono morire: il <i style="font-weight: bold;">corpo</i> però, rimane incorrotto, non toccato da queste vicende, forse anche pronto a ritornare agli elementi per risorgere tal quale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma è ancora Giacobbe/Joost a fornire una spiegazione ad una domanda: perché <i style="font-weight: bold;">the very self of the storm [...] knows nothing more</i>? Perché dunque è la <i style="font-weight: bold;">tempesta</i> personificata al verso 7 a <i>non sapere più nulla</i> e contemporaneamente <i>nulla di più</i>, vale a dire <i>tutto</i>? In Genesi 46, 26-27 si dice che "<span style="background-color: white; line-height: 20px;"><span style="font-family: inherit;"><i>Tutte le persone che entrarono con Giacobbe in Egitto, uscite dai suoi fianchi, senza le mogli dei figli di Giacobbe, sono sessantasei. I figli che nacquero a Giuseppe in Egitto sono due persone. Tutte le persone della famiglia di Giacobbe, che entrarono in Egitto, sono settanta</i>"; mentre in Esodo 1, 5 si legge "</span></span><span style="background-color: white; line-height: 20px;"><span style="font-family: inherit;"><i>Tutte le persone nate da Giacobbe erano settanta, Giuseppe si trovava già in Egitto</i>": l'<i style="font-weight: bold;">Egitto</i>, la Terra dell'Afflizione e dell'esilio, dunque di una <i style="font-weight: bold;">lotta</i> e di una <i style="font-weight: bold;">tempesta</i> della vita e dell'intera esistenza non soltanto personale, ma dell'umanità. Ma che sia una coincidenza fortuita o una costruzione di Stevens, è proprio al verso <i style="font-weight: bold;">7</i> che si legge <i style="font-weight: bold;">il più puro sé della tempesta</i>, la sua <b>identità</b>: e <b>sette</b> e <b>settanta</b> sono nel pensiero ebraico numeri per indicare la completezza, la totalità di parti innumerevoli.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; line-height: 20px;"><span style="font-family: inherit;"> Rappacificati con Dio-<i style="font-weight: bold;">sole</i> o mutuamente estranei, Wallace Stevens non si culla nelle illusioni, che sono pur esse <i>de-cise</i> e <i>ri-solte</i> dall'inanità, impossibilità, forse inutilità di cercare di conoscere se vi sia altro rispetto al nascere/riprodursi/morire: questo Qualcosa esiste ed ha <i>senso ed emozione</i> — l'italiano <i>senso</i> aiuta con la sua duplice ambiguità. Il Qualcosa <i style="font-weight: bold;">di più</i> è il Viaggio stesso, la Vita stessa, che è <i style="font-weight: bold;">tempesta</i>, la <i style="font-weight: bold;">miseria</i> del titolo: e chiude il cerchio, poiché <i style="font-weight: bold;">miseria</i> è in realtà la <i>diminuzione</i>, il <i>togliere</i> che esfolia il viaggio terreno fin quando non si spegne cadenzando che esso <i style="font-weight: bold;">nulla sa più</i>.</span></span></div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-40764586970680363442013-09-16T16:30:00.000+02:002013-09-17T14:56:17.099+02:00Il momento opportuno<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Da una lettera, della quale taccio il Destinatario:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<blockquote class="tr_bq">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">... ma non è soltanto una questione di <i>tempo</i><span style="background-color: white; color: #222222;">,</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">carissima ***:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">l'altro pomeriggio discutevamo del tempo, perché siamo immersi in questa fondamentale illusione che sembra racchiudere anche le altre forme della nostra esperienza.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Anzitutto, spero che tu stia bene, e voglio augurarti una serena e piacevole giornata.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il mattino è il momento in cui la lotta fra sonno e veglia è forte: non parliamo dei momenti di passaggio fra le stagioni, quando quella ancora viva si sente stringere da quella nascente...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Qui sta il percepire il "momento opportuno": i Greci lo chiamavano <i style="font-weight: bold;">kairós</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ed è l'<i style="font-weight: bold;">opportuno</i> rispetto a chi compie l'azione, dunque anche rispetto a chi coopera nell'azione (lo potremmo chiamare il Soggetto); ma insieme rispetto all'agire o meno (lo potremmo chiamare il Fare); e insieme rispetto a ciò che quell'azione crea (lo potremmo chiamare l'Oggetto).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sta di fatto che così, filosoficamente, tutto diventa arida dissezione, e specie se messa per iscritto, noiosa anatomia di qualcosa che invece è delicato e impalpabile nella sua perentorietà: meglio parlare, dialogare, anche se soltanto per monologo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Non voglio continuare con la filosofia: è bella e vera, ma richiede piedi pesanti.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Pensa invece il <i style="font-weight: bold;">kairós</i> in questo modo, orientale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Esso è il tempo, nel giardino fiorito o durante la tua passeggiata pomeridiana, in cui ti rendi conto che sui rami o in cima allo stelo quel fiore ha raggiunto la sua maturità, che presto sarà svanita nella vecchiaia e nella dissoluzione: non è più un bocciolo, non è ancora la corolla invecchiata con i petali flosci e gualciti. Dura un attimo o un giorno o una vita intera: il <i style="font-weight: bold;">kairós</i> non è questione di lancette, non è quantità ma qualità, e dipende dall'Osservatore.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma esso è, insieme, il tempo in cui si decide di ammirare o di cogliere il fiore o di lasciarlo senza più guardarlo e andare via: dunque il <i style="font-weight: bold;">kairós</i> è del fiore in quanto suo proprio, e del fiore e di te che l'osservi, in quanto quel fiore non sarebbe stato maturo al punto giusto se non per i tuoi occhi e non da solo per sé stesso.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Infine il <i style="font-weight: bold;">kairós</i> è il tempo in cui prendi coscienza di questa occasione NEL tempo, e di come questa, se passata a pensare sia UN aspetto della Cosa, e se passata ad agire sia UN ALTRO aspetto della stessa Cosa: la medesima acqua che stagna nel lago oppure è onda vorticosa con la cresta di schiuma.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Anche in una relazione dunque, il <i style="font-weight: bold;">kairós </i>è difficile da cogliere, perché noi siamo limitati, e procediamo per esclusione e non invece per sovrapposizione includente: discerniamo UN aspetto, e poi col ricordo ricostruiamo l'ALTRO o gli ALTRI aspetti per farne una visione complessa.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Quando si dovrà <b>agire</b> o <b>pensare</b> in una relazione?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La contemporaneità non esiste: ridotta ai minimi termini, è impossibile la fusione di Azione e Pensiero, tant'è che si dà all'una o all'altro la prevalenza e su questa si fonda la divisione inestricabile.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma vedi?, torna una noiosa analisi filosofica...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il <i style="font-weight: bold;">kairós</i>, difatti, è il momento in cui la decisione è presa: il momento in cui la biforcazione prende corpo e non si può più tornare indietro — il taglio del fiore, la parola pronunciata, il gesto compiuto, il pensiero pensato. L'Atto che prende il posto della Potenza: fino a quel momento <i>nulla</i> esiste e <i>tutto </i>potrebbe, col <i style="font-weight: bold;">kairós</i> la Cosa si crea, dopo questo tempo la Cosa esiste "per me" nella coscienza e nella memoria. Ripeto, questo "tempo creativo" non è l'Attimo, o non è esclusivamente l'Attimo, perché non è durata, ma qualità.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Troppa filosofia: chissà che tu non abbia già lasciato perdere...</span></div>
</blockquote>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-793961436839751622013-02-12T15:06:00.000+01:002013-02-12T15:40:43.922+01:00Benedetto XVI: il giusto riposo<div style="text-align: justify;">
Chi non ha ragionato e discusso su Benedetto XVI dalla tarda mattinata di ieri, o non si cura degli affari del Mondo (quello vero) vivendo chissà forse soltanto di giochini e canzoncine, o è purtroppo tanto povero e in affanno da poter dare il giusto peso ad ogni questione, compresa questa che è in verità <i>storica</i>. Ma si sa, la <i><b>S</b>toria</i> spesso passa sopra le teste dei minimi quasi senza lasciare tracce.</div>
<div style="text-align: justify;">
Gli altri si sono schierati, <i>pro</i> o <i>contro</i> il Papa, con la consueta partigianeria: ogni occasione è buona per <i>non stare sul tema</i> e affastellare le accuse giuste e quelle che lo sono meno. Di tutto si può e si deve far critica e sano costruttivo giudizio (ve n'è una giustificazione nel Vangelo, lo dico a favore degli atei), ma rinverdire la pesante durissima giustissima accusa verso la questione della pedofilia, o verso le posizioni in materia sessuale o dei diritti delle coppie o di tutte le altre materie contese, proprio ieri e oggi, non è tanto sbagliato <i>in sé</i>, ma di sicuro poco <i>pertinente</i> verso il tema centrale della rassegnazione del mandato papale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Perché la questione è in realtà centrale nella dimensione del <i>riposo</i>.</div>
<div style="text-align: justify;">
Tale tema è in fondo comprensibilmente messo in ombra, nel nostro tempo, ed anche istituendo un confronto con il precedente Sommo Pontefice.</div>
<div style="text-align: justify;">
Se da un lato <i>interno</i> si riverbera ancora la luce di una presenza <i>muscolosa</i> e <i>granitica</i> perfino nella sofferenza degli ultimi anni di vita di Giovanni Paolo II, il contrasto con Benedetto ne esce ancor più a tinte forti e accese: il Papa polacco dotato di carisma e comunicatività sia negli interminabili frequentissimi viaggi pastorali, sia nelle Giornate della Gioventù, sia nelle Vie Crucis tremanti o nel silenzio degli ultimi mesi di malattia e di vita terrena; il Papa tedesco dedito in maniera polarmente opposta ad un timido raccoglimento anche di fronte alle masse di ragazzi di quelle stesse Giornate, o alle Udienze Generali. Il polacco dunque figura di <i>Marta</i>, il tedesco figura di <i>Maria</i>: tornerò sull'allegoria.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma dal lato <i>esterno</i>, non siamo più abituati a fare i conti con il <i>riposo</i> nemmeno nella società e nelle immagini di questa che la cultura di massa crea, diffonde ed impone per forza di ripetizione ed iperinformazione: la vecchiaia è scacciata, nascosta, spostata, cancellata e irrisa. Essa non arriva quasi mai, e non sono queste righe le più adatte ad affrontare questo tema capitale: lo do per conosciuto attraverso tante riflessioni di sociologi, psicologi, poeti, e dalla quotidiana esperienza del senso comune.</div>
<div style="text-align: justify;">
Eppure è la questione del <i>riposo</i> quella che ogni estate proprio i Papi sottolineano durante le vacanze: un argomento noto quindi, o almeno dovrebbe esser tale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Perché sia mancata subito una riflessione di questo tipo ieri non è tanto un segnale del lavaggio dei cervelli che i media starebbero (forse stanno) compiendo, quanto invece della portata davvero epocale e straniante e perturbante del gesto di Benedetto XVI.</div>
<div style="text-align: justify;">
Va indagata una dimensione teologica del <i>riposo</i> che non esclude le letture politiche, sociali o di qualsiasi altro tipo per la scelta del Sommo Pontefice, ma che credo proprio nel suo caso sarebbe una fra le letture da compiere più delicatamente e profondamente.</div>
<div style="text-align: justify;">
Qualche anno fa padre Enzo Bianchi (priore della Comunità di Bose) scrisse una riflessione su questo tema intitolata <i>Il riposo di Dio e dell'uomo</i>, ed è tornato fino al 30 aprile 2012 a ragionare di questo con un articolo su <b>La Stampa</b> (che <b><a href="http://www.lastampa.it/2012/04/29/cultura/opinioni/editoriali/perche-serve-un-giorno-di-festa-Huhlgm52ZzpyB2LttqD2tO/pagina.html" target="_blank">si legge qui</a></b>): io non ripercorrerò le argomentazioni di padre Bianchi, ma accennerò solo lo spunto di una interpretazione.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il Vangelo di oggi 12 febbraio 2013 propone la Prima Lettura dal libro della Genesi 1,20-31.2,1-4a, che termina con queste parole: </div>
<br />
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<i>Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. </i><i>Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati</i>.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Si può forse dire ed affermare che Dio Padre abbia sentito la dimensione della <i>stanchezza</i>?</div>
<div style="text-align: justify;">
Non <i>per sé</i>, evidentemente: mentre è giusto trovare l'esaltazione del <i>riposo</i> come <i>compimento dell'opera</i> che si ritroverà nel comandamento di <i>santificare le feste</i>, vale a dire rendere <i>santa</i> e <i>sacra</i> la gioia dopo il lavoro. Ma perché mostrare la giustezza del <i>riposo</i> direttamente da parte di Dio, e non affidarlo alla storia sacra dell'Uomo, cui invece tocca la <i>fatica</i> continua del lavoro, come ad Adamo e ai suoi discendenti?</div>
<div style="text-align: justify;">
Perché il compimento del lavoro che viene onorato col riposo è un compimento nel <i>vuoto colmo</i> della gratitudine e della Grazia, vale a dire una esaltazione (anche filosofica, se vogliamo) del <i>silenzio creativo</i> che solo ed unico permette la comprensione del messaggio creativo: le filosofie del linguaggio e che si sono interrogate sul Linguaggio, anche sacro, abbondano su questo tema di riflessione.</div>
<div style="text-align: justify;">
Dunque il <i>riposo</i> non è abbandono di volontà ma pienezza di scelta nel comprendere il <i>limite</i>: la <i>finitudine</i> che Dio Padre mostra è già a favore dell'Uomo, perfino nell'opera della creazione universale. </div>
<div style="text-align: justify;">
Perciò il <i>riposo</i> non è assenza di forze ma giusta considerazione delle forze e dell'impegno: e sulla <i>forza</i>, anche <i>fisica</i>, l'altro culmine teologico può aiutare a chiarire un'interpretazione teologica del gesto di Papa Benedetto.</div>
<div style="text-align: justify;">
Si può forse dire che Gesù sul Golgota stia <i>abbandonando</i> la sua Croce, nel momento in cui cade e viene infine aiutato da Simone di Cirene? È questa forse una <i>deminutio</i> della sua opera di salvezza?</div>
<div style="text-align: justify;">
Non voglio ripercorrere le dispute scolastiche, ma credo proprio che l'umanità sofferente di Cristo che viene aiutata nel sollevare e trasportare la Croce sia invece esaltata da questo gesto di inconsapevole <i>cooperazione</i>, che è giusta proprio nella misura in cui il completamento è di nuovo affidato a Dio Figlio che su quella Croce patisce. Non aveva forse chiesto Gesù che quel <i>calice amaro</i> passasse da Lui, nell'Orto degli Ulivi? Eppure è pronto ad accettare la scelta e la decisione della volontà del Padre, e a compierla.</div>
<div style="text-align: justify;">
Dunque il <i>riposo</i> e lo <i>stremo delle forze</i> sono in strettissima relazione: nel Vangelo di Marco 6, 30-34 si legge</div>
<blockquote class="tr_bq">
<div style="text-align: justify;">
<i>In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. </i><i></i><br />
<div style="display: inline !important;">
<i><i>Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. </i></i></div>
<i>
</i><i><div style="display: inline !important;">
<i>Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.</i></div>
</i></div>
</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Agli Apostoli vien detto e consigliato di riposare, ed è Gesù, il Capo della Chiesa, che alla vista dei tanti bisognosi, durante il riposo dei suoi pastori offre il suo conforto anche senza il loro aiuto e la loro collaborazione: essi ovviamente torneranno a predicare e a riempire una <i>sede vacante</i> temporaneamente.</div>
<div style="text-align: justify;">
Avevano infatti compiuto una parte della loro opera ("<i>gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato</i>"), e dovevano riflettere sulle loro azioni e ritemprare le forze ("<i>erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare</i>").</div>
<div style="text-align: justify;">
Torna quindi con forza un dilemma: l'azione efficace è solo quella che viene compiuta <i>fisicamente</i>, o non vi è forse anche altrettanto valore, agente in maniera diversa, nella <i>preghiera</i>? Perciò, riprendendo l'allegoria di qualche riga sopra, ha più valore l'affannarsi coscienzioso e santo di Marta, intenta a sistemare casa, pulire, cucinare, accogliere Gesù <i>concretamente</i>; o quello tutto intento alla persona di Gesù nella preghiera dell'abbraccio della sorella Maria?</div>
<div style="text-align: justify;">
La risposta di Gesù nel Vangelo è per Maria e non per Marta, ed una giustificazione sarebbe da trovare con l'analogia degli Apostoli che hanno il diritto di esser lieti fin quando lo Sposo è con loro: Marta, così come gli Apostoli, non sono sminuiti nel loro lavoro, tutt'altro; ma si indica solo come alle opere si possa e si debba porre un limite, che è quello da dedicare alla contemplazione ed alla preghiera, al vero <i>riposo</i> dunque.</div>
<div style="text-align: justify;">
Perché non dovrebbe quindi un Papa <i>riposarsi</i> dopo aver compiuto una parte della sua opera?</div>
<div style="text-align: justify;">
È forse un modo di <i>disperare</i> del conforto divino nella sua vita o nella sua azione pastorale? Ma chi può dire di aver compiuto realmente tutto, se non Dio? Non sarebbe altrimenti presuntuoso chi pretendesse di aver <i>fatto tutto</i>, o non seguisse il dettame che impone di pregare non solo <i>in patiendo</i> ma anche <i>in orando</i>, vale a dire non solo con la sofferenza ma anche con la preghiera contemplativa?</div>
<div style="text-align: justify;">
Uno dei libri più mistici e ardui e dolci della Bibbia, il Cantico dei Cantici, non parla forse del <i>riposo</i> dei due amanti dopo le corse e gli incontri amorosi? E in uno dei Salmi non si legge "<i>in pascoli erbosi mi fai riposare</i>"?</div>
<div style="text-align: justify;">
Perché dovrebbe essere più <i>eroica</i> la dimensione di Giovanni Paolo II rispetto a quella scelta da Benedetto XVI? E perché più <i>giusta</i> e condivisibile quella piuttosto che questa della <i>rassegnazione</i>?</div>
<div style="text-align: justify;">
Non dice forse, alla fine delle sue forze Gesù al Padre "<i>In manus tuas Domine commendo spiritum meum</i>"?</div>
<div style="text-align: justify;">
Qualsiasi cosa si pensi quindi di Papa Benedetto, lo si esamini anche da questo punto di vista e si sciolgano anche i dubbi teologici insiti nel suo comportamento, se ve ne sono.</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
</blockquote>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-89929751163838992922012-10-20T19:54:00.000+02:002012-10-20T19:54:46.379+02:00Mettere ordine<div style="text-align: justify;">
<i>Ducis imperare, sapientis est ordinare</i>: una vecchia parafrasi di Tommaso d'Aquino diceva, nel Medioevo, quel che il Dottore Angelico aveva detto del sapiente — che il suo compito è quello di trovare un ordine e porre le cose al loro rispettivo posto, trovando per loro il <i>luogo naturale</i> anche dal punto di vista della loro conoscenza.</div>
<div style="text-align: justify;">
Molto più semplicemente, ho deciso di indicare un <i>ordine possibile</i> fra i post che nel corso del tempo si sono accumulati: e molto più baroccamente (penso ad Emanuele Tesauro) tanti di essi sono posti a cavallo di vari ambiti e discipline — perché difatti la Luce delle Cose si rifrange e si riflette in modo sempre cangiante.</div>
<div style="text-align: justify;">
Sulla Barra in alto quindi, si trovano le nuove pagine dedicate alle <a href="http://lalucedellecose.blogspot.it/p/letterature.html" target="_blank"><b>Letterature</b> </a>e alle <a href="http://lalucedellecose.blogspot.it/p/filosofie.html" style="font-weight: bold;" target="_blank">Filosofie</a> con i link diretti verso i post: non mi pare una creazione inutile (<i>Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem</i>, diceva Ockham), specie se la ridondanza può trasmettere invece, più efficacemente, una sovrapposizione, un intreccio di vedute, una rifrazione di luci che possa illuminare meglio.</div>
<div style="text-align: justify;">
Buona navigazione!</div>
Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-84573640665712690712012-10-17T11:46:00.000+02:002012-10-17T19:22:07.225+02:00Twoorty, la knowmunity italiana dove "to know" è meglio di "to show"<div style="text-align: justify;">Qualche giorno fa Marco Minghetti, giornalista del Sole24Ore, ha pubblicato su Nova24 un interessantissimo articolo (<a href="http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2012/10/la-knowmunity-di-twoorty-mette-il-turbo-anzi-due.html" style="font-weight: bold;" target="_blank">lo leggete qui</a>) su <i>Twoorty</i>, un social network tutto italiano che punta a rivoluzionare un panorama che è già affollatissimo ma proprio per questo consente di maturare esperienze in maniera più critica e consapevole rispetto a qualche anno fa (sembra preistoria, vero?).</div><div style="text-align: justify;">Senza ripetere le sue ottime considerazioni e l'intervista ad Alice Cimini e Carlo Crudele (gli ideatori/fondatori di Twoorty), il fatto da notare è, si direbbe, di <i>filosofia</i>: che i social network stiano virando decisamente verso il <i>know</i> piuttosto che cercare di battere il colosso Facebook attraverso il fronte dello <i>show</i>?</div><div style="text-align: justify;">Cimini e Crudele, ad una precisa domanda di Minghetti riguardo il <i>knowledge sharing</i>, rispondono chiaramente puntando sulla condivisione efficace di conoscenze: cosa spiegherebbe una "<i>knowmunity</i>", se no?</div><div style="text-align: justify;">Ma il punto è: questa non è forse anche la tendenza da cui ha preso le mosse un altro gigante, GooglePlus? La <i>necessità</i> di scegliere consapevolmente <i>con chi</i> condividere i propri contenuti, l'integrazione con la piattaforma Blogger, l'integrazione ancor più con gli strumenti di GoogleDrive, non puntano verso il <i>knowledge sharing</i> di già? O quelle di Twoorty sono soltanto dettagli tecnici differenti di poco conto?</div><div style="text-align: justify;">Sembra di no, vista la totale apertura alla condivisione di contenuti delle piattaforme blog: ma ancora una volta — allora è tutta <i>conoscenza</i> quella che verrà postata su Twoorty?</div><div style="text-align: justify;">Ad applicare un principio darwiniano, si potrebbe rispondere di sì come per altri social network, con la differenza che in questo nuovo esperimento italiano sono proprio gli <i>interessi</i>, le curiosità verso la <i>knowledge</i> a dettare legge: ancor più rispetto agli usi (possibili) di Facebook come collettore/vettore di conoscenza e contenuti.</div><div style="text-align: justify;">Da un lato la forza di una vetrina da un miliardo di utenti (tutti attivi? sempre tutti connessi? e gli Aggiornamenti della Bacheca, quando si accavallano?) a cui <i>mostrare</i> qualcosa — <i>to show</i> —; dall'altro la forza della curiosità: che può anche finire, intendiamoci, ma se ben alimentata è il vero motore delle cose.</div><div style="text-align: justify;">Non diceva un certo antico filosofo che la curiosità è infatti la radice di una knowmunity?</div><!-- 80f49730-6022-4acb-986f-cf585ecc5ca0 -->Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-4267826935476837302012-08-11T20:11:00.002+02:002012-10-17T10:39:58.302+02:00Julia Kent, a Rhodian Cello in Catania<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY2oCJ5WZVj1pRaFt9v8l3flWws0A5WBzwdqPKUx8SL-j8ligpdOvyl49IbL5yPwplSxqSx8MKNc31RS2dB6k_o8TGvGLypPub1hWFI6lOJzhyphenhyphenO3N8U4vUCckj1M18AusZQqMgcaZRmKg/s1600/Julia+Kent.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY2oCJ5WZVj1pRaFt9v8l3flWws0A5WBzwdqPKUx8SL-j8ligpdOvyl49IbL5yPwplSxqSx8MKNc31RS2dB6k_o8TGvGLypPub1hWFI6lOJzhyphenhyphenO3N8U4vUCckj1M18AusZQqMgcaZRmKg/s320/Julia+Kent.jpg" width="320" /></a><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"></span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">The first event of the artistic and musical season of <b>Efestiade</b> (a must-to-see in the cultural summer of Catania, Sicily since 2010) was a Cello solo concert of <b>Julia Kent</b>, the Canadian-born and New York-based musician now in personal exibitions, that took place in the Ancient Roman Theater of the city tuesday night, August, 7<sup>th</sup>. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">A unique date that at last was too short for us all waiting for an </span><i>encore</i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> by the artist, alas!</span></span></div><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-align: justify;">Julia shared informations and impressions with the public even before and after her performance via Twitter: many of us urged her to come out from the scenes and, at the end of the concert, to give us one of her attractive compositions (I craved for 'Overlook'...) but, the heat got the better, and we enjoyed the memories of the music at all and perfectly in line with the location of the show.</span><br />
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Only a few musicologists have been able to understand and reconstruct what Ancient Greek and Roman music really was, and in which manner it sounded to the ears of the public, due to the quite total lack of material testimonies (like papyri, or other manuscripts, especially the Byzantine ones), and of any other evidence. This nearly complete ignorance makes not only a hard and arduous work to imagine the contents of that music but, it obviously makes even more improbable and unconvincing any Musical Philology in whichever way it works on performance praxis. Any attempt indeed is highly circumstantial and truly personal, so we can try to use therefore other knowledge skills to achieve such supposed (until now, obscure) ancient manner to play music.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b>Julia Kent</b>, who gives concerts in perfect solitude broken only by her modern cello (she perhaps doesn't obey to the tang of having a 'classic' instrument...), might then be a <b>Rhodian</b>, in the meaning given by the Ancient Rhetoric scholars: a wise mixture of articulate rhythmical elements; sound overlaps (maybe most of us soon thinked to David Darling and his multiple tape recording with the cello, just as Julia herself); and a bald technical praxis that drains quite at all the '<i>vibrato</i>' with the left hand (I heard and saw no more than five minutes of this during an hour, the time of the show).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Asianists, Atticists and Rhodians were in contrast in a world in which Rhetoric (namely the <i>colores rhetorici</i> stated by Quintilian, the greatest Eloquence and Rhetoric scholar of the Roman Early Empire age) was a matter of interest for philosophers, teachers and public speaking professionals, and also for politicians and perhaps for a vaste public of connoisseurs or the simply sightseers during exhibitions performed in squares.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">We could imagine the '<i>asianist</i>' declaiming in a way in some respects similar (in modern sense) to Baroque: they astounded the audience using affected and exaggerated tones, large range pitch of the voice as in music likewise, virtuosity in the structure of the phrases like poets. '<i>Atticists</i>' otherwise were bald and moderate: without any excess, they loved to be clear and to preserve the order to the extent that they seemed too much concise and terse. One could define them <i>laconic</i>, if they weren't named by Athens and not by Sparta in the way they presented the discourse.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Rhodians </i> at last, were able to use all various rhetorical instruments without exceed in neologisms, or in tone pitch, or in pauses and musical skills, and then without breaking the peace of souls and without the aim of doing so. They were naturally ready to stimulate and involve the public, reaching this as always with supreme tecnique: that of Demosthenes among the Greeks, and of Cicero among the Romans.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">It happened so yesterday night with <b>Julia Kent</b>, that her cello was surrounded by the <i>ambient</i> sonorities of light whish water given by the speakers and, that we all had the doubt it was there the really sounding little space of the 'orchestra' sunken in water beneath the 'cavea' to produce this swoosh in the Ancient Roman Theater charming in the dark of the night. May it happen elsewhere a similar consonance in any other 'location', as they say? </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">The aim but of the cellist, was not to '<i>try the Greek way</i>' for her catanese play: obviously, in such cases like this an artist shows his own careful reading of the site.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Live electronics and sound overlapping, <i>ambient</i> sonorities and the vitreous consistency of the amplified cello, minimalist structures with a strong inclination to rhythm rather than to harmonic mixture, or towards a melodic order proper to a canon or a fugue: all these are the elements of a <i>blend </i>of styles and genres in the mood of the Rhodian style, shown in a Roman Theater with original parts in stone and wooden bleachers, where the emotional share with the audience get the better, aren't they?</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Julia Kent doesn't pale in front of such great personalities: she aroused us on the contrary the desire to listen to her again with pleasure; maybe another time in a setting without pure acoustics like a recording studio ('Asianist'), nor in a Concert Hall like those of the Rasputina ('Atticist', her old group of cellos), but in a extraordinary appropriate place with really '<i>greek</i>' harmonics like the '<i>rhodian</i>' Ancient Roman Theater of Catania.</span></div><!-- 80f49730-6022-4acb-986f-cf585ecc5ca0 -->Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-18964285087016383842012-08-08T23:31:00.001+02:002012-08-09T12:02:32.234+02:00Julia Kent, un violoncello rodiese a Catania<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY2oCJ5WZVj1pRaFt9v8l3flWws0A5WBzwdqPKUx8SL-j8ligpdOvyl49IbL5yPwplSxqSx8MKNc31RS2dB6k_o8TGvGLypPub1hWFI6lOJzhyphenhyphenO3N8U4vUCckj1M18AusZQqMgcaZRmKg/s1600/Julia+Kent.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY2oCJ5WZVj1pRaFt9v8l3flWws0A5WBzwdqPKUx8SL-j8ligpdOvyl49IbL5yPwplSxqSx8MKNc31RS2dB6k_o8TGvGLypPub1hWFI6lOJzhyphenhyphenO3N8U4vUCckj1M18AusZQqMgcaZRmKg/s320/Julia+Kent.jpg" width="320" /></a>Ho ascoltato <b>Julia Kent</b> ieri sera, dal vivo al Teatro Romano di Catania come primo evento della rassegna <b><i>Efestiade</i></b>, ed il suo concerto è stato sin troppo breve per la fame di note mia e del pubblico.</div>
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Julia è stata prodiga di comunicazioni via Twitter prima e dopo lo spettacolo verso noi che la sollecitavamo ad uscire dalle quinte, e poi a concederci almeno un bis, ma il caldo catanese ha avuto la meglio e noi ci siamo goduti la memoria delle sue note perfettamente in linea con l'ambientazione del suo concerto. </div>
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Ben pochi fra gli studiosi sono riusciti sinora a ricostruire <i style="font-weight: bold;">cosa</i> fosse realmente e <i style="font-weight: bold;">come</i> suonasse la musica antica greca e romana: la mancanza pressoché totale di testimonianze materiali non solo rende difficile immaginare i contenuti, ma ancor più improbabile qualsiasi filologia che voglia occuparsi di prassi esecutiva, ovviamente.</div>
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I tentativi sono tutti fortemente indiziari e personali: allora forse si può avere la libertà di usare altri strumenti conoscitivi per risalire ad un presunto (finora sconosciuto) modo antico di suonare.</div>
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<b>Julia Kent</b>, che tiene i suoi concerti in perfetta solitudine col suo violoncello, sarebbe allora una <b style="font-style: italic;">rodiese</b>, nel senso della retorica classica: una mistura sapiente di elementi ritmici articolati, di sovrapposizioni sonore (come non pensare a David Darling e alle sue sovraincisioni col violoncello, proprio come la Kent), ed una tecnica esecutiva asciutta, dove su un'ora di musica la mano sinistra ha suonato il vibrato per meno di cinque minuti.</div>
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Asiani, Atticisti e Rodiesi si contrapponevano in un mondo dove la retorica (i <i>colores rhetorici</i> di Quintiliano, il grande sistematore dell'età imperiale) interessava filosofi, maestri e professionisti, politici, forse anche un pubblico più largo di intenditori e amatori o i semplici curiosi durante le esibizioni nelle piazze.</div>
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Gli Asiani strabiliavano in un modo che, modernamente, assoceremmo al Barocco: toni caricati, forti escursioni vocali proprio come fosse musica, virtuosismi con le parole al modo dei poeti. Gli Atticisti, invece, asciutti e misurati, senza eccessi di alcun genere, amanti della chiarezza e dell'ordine al punto da sembrare sin troppo concisi, stringati: se non prendessero il nome dall'Attica e da Atene, li si sarebbe definiti <i style="font-weight: bold;">spartani</i> nel modo di porgere le parole ed i discorsi, <i>laconici</i> appunto.</div>
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Infine i Rodiesi: capaci di servirsi dei vari strumenti senza eccedere, delle parole nuove e del tono di voce senza esagerare, delle pause e della musicalità senza turbare gli animi e senza quello scopo, pronti a stimolare, a coinvolgere con la naturalezza, che è fatta dall'arte, sempre. Demostene, per capirci: e fra i romani, Cicerone.</div>
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È capitato così ieri sera con <b>Julia Kent</b> che il suo violoncello fosse contornato, spazialmente, dai suoni <i>ambient</i> dell'acqua leggera frusciante diffusi dagli altoparlanti e che venisse il dubbio, nel Teatro Romano fascinoso nel buio, che fosse proprio la piccola zona dell'orchestra sotto la cavea, sommersa dall'acqua, a risuonare. Poteva capitare altrove, in un'altra <i>location </i>come si usa dire, di avere una consonanza simile?</div>
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Ma lo scopo della violoncellista non era quello di <i>tentare la via greca</i> per il suo concerto catanese: ovvio che sì, ma proprio qui si mostra la capacità di lettura dei luoghi da parte di un'artista.</div>
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Live electronics, sovraincisioni, suoni <i>ambient</i>, la consistenza vetrosa del violoncello amplificato, strutture minimaliste con una forte propensione ritmica piuttosto che verso un impasto armonico o una costruzione melodica da canone o da fuga: in un Teatro Romano con gradinate in legno e parti originali in pietra, non sono questi gli elementi di una mescolanza di stili e generi sullo stile <i style="font-weight: bold;">rodiese</i>, dove a prevalere è la condivisione emotiva con il pubblico?<br />
Se i nomi citati si son fatti grossi, Julia Kent non scompare nel paragone: ci ha lasciato anzi l'appetito per riascoltarla piacevolmente, magari ancora in una cornice dall'acustica non da studio di registrazione (Asiana) né da concerto dei Rasputina (il suo vecchio gruppo di soli violoncelli, Atticista), ma straordinariamente consona e armonica e veramente <i>greca</i> come il <i>rodiese</i> Teatro Romano di Catania.</div>Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3910319880456863676.post-27535508408539201162012-06-02T14:11:00.002+02:002012-06-02T14:11:41.573+02:00FedeltàD'un tratto—è passato poco, in fondo—le visite hanno raggiunto le quattromila.<br />
È un piccolo vanto con me stesso, se considero che le mie parole (i post, le condivisioni, i ragionamenti sviluppati) sono state, in questi anni, complessivamente pochissime, sporadiche apparizioni.<br />
Amori come gli abbagli, i colpi di fulmine, che si rinverdiscono pur cambiando vita, a ogni nuovo sguardo.<br />
La Luce delle Cose è tale, che brilla anche di poco lume: <i>Savii parvis luminibus luminant magnas</i>.<br />
Grazie a tutti quelli che sono passati da qui.Tommaso Ciminohttp://www.blogger.com/profile/01796708601393799715noreply@blogger.com0