Se per Itaca volgi il tuo viaggio, / fai voti che ti sia lunga la via, / e colma di vicende e conoscenze... (Konstantinos Kavafis)

giovedì 12 dicembre 2013

Cos'è la Grazia?

Questo pomeriggio ho avuto una discussione con una mia carissima amica, che non nomino, ovviamente.
Parlavamo del fatto di ringraziarci, e di ringraziare: la sua idea è diversa dalla mia, forse perché lei crede che due amici non solo non abbiano bisogno, ma non debbano forse nemmeno ringraziarsi, come se questo fosse già di per sé una specie di diminuzione rispetto alla portata di condivisione spirituale che un'amicizia porta, offre e scatena. Ma sto interpretando il suo pensiero, queste non sono le sue parole...
Volevo però condividere le mie.

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Che parola difficile,
carissima ***:
come tutti i concetti semplici, non ci sono appigli e pieghe di significato che possano aiutare ad afferrare il contenuto, a visualizzare un'idea della grazia.
     È grazia, per caso, l'arrendevolezza verso le emozioni forti, la leggerezza di contro alle esagerazioni? Solo in parte: potremmo immaginare situazioni dove il giusto sia rispondere polarizzando, mettendosi agli estremi, scegliendo con decisione di stare e cercare il Mezzo, l'equilibrio.
     Allora grazia è l'equilibrio? Probabilmente sì: ma non il raggiungimento dell'equilibrio, quanto la sua ricerca. Una ricerca che prova ad afferrare l'inafferrabile: poiché l'equilibrio non è qualcosa di statico ma di dinamico.
     E con cosa si afferrano gli Oggetti del Mondo? Con le mani, no?
   Bene, cháris (greco, da cui gratia e caritas del latino, o har del sanscrito), che è il dono, è sorella di chéir, la mano (pensa a chir-urgo, "colui che lavora, érgon, con la mano, chéir" appunto). La mano che dona, la mano che afferra, concretamente e concettualmente la Cosa.
     Noi, alla lettera, conosciamo così: sempre e in ogni caso.
     Conosciamo con l'Occhio, e vediamo la Luce.
   Conosciamo con la Mano, e afferriamo le cose che poi doniamo: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".
     Mi dirai: "C'è un modo ancor più semplice di conoscere? Più intimo e personale?".
   Conosciamo con la Bocca, come i bambini che portano tutto alle labbra e alla lingua: sapio, che vale assaggiopercepisco il sapore, ma è proprio la radice di sapienza, che non a caso non è questione di cervello, ma di Ragione e Sentimento, Corpo e Spirito messi insieme. "Siate il sale della Terra".
    La bocca dice buone e cattive parole, bacia e insulta, mangia e dà da mangiare (pensa ai bimbi che, quando non si fidano di un cibo, lo accettano se un po' morso dalla mamma, che li nutre quindi nuovamente di sé): dunque la bocca conosce, intimamente, la vita delle cose, specie la vita delle cose donate.
     Perciò non c'è cosa migliore di ringraziare, sempre.
     Non è un atto di poca fiducia, un filtro, un riparo: è un manto che avvolge le cose per offrirle in dono — si chiama affettoamoregioia.
    È la condizione per cui e attraverso la quale si è esseri umani: la ver-itas, perché Ver/Vir è l'Umano, uomo o donna, giovane o anziano, che vanno tutti ringraziati e conosciuti attraverso quest'atto. La comunione vivifica e rende possibile questo dono conoscente.
   Poi dalla Cosa, donata e ricevuta, si toglie questo velo d'affetto e d'amore, questo manto: a-létheia, greco, cioè il "togliere il velo", "dischiudere" — è la parola che i Greci usavano per la Verità, e quel léthe è un oblio, il manto del Tempo. Ma ogni cosa, ogni fatto, ogni sentimento è presente in noi solo come ricordo, e quel togliere il manto dell'oblio serve a rendere vivo nuovamente ciò che si è vissuto in comunione con Sé e con il Mondo: serve, non a caso a ri-cor-darlo, a ridarlo al Cuore.
     E non si prova lì, l'affetto, non si prova lì, la gioia?
     E la grazia, non si prova forse lì?
     E non si conosce, forse, anche col Cuore, soprattutto col Cuore?
    Dunque non c'è nulla di affettato in [un] ringraziamento: nulla cioè che non sia affetto gioioso, vero e svelato, reso vivo ogni volta e dato al cuore che lo riceve.