Se per Itaca volgi il tuo viaggio, / fai voti che ti sia lunga la via, / e colma di vicende e conoscenze... (Konstantinos Kavafis)

martedì 12 agosto 2008

Solitudine d'agosto: Gottfried Benn e Meister Eckhart

Einsamer nie -

Einsamer nie als im August:
Erfüllungsstunde - im Gelände
die roten und die goldenen Brände,
doch wo ist deiner Gärten Lust?

Die Seen hell, die Himmel weich,
die Äcker rein und glänzen leise,
doch wo sind Sieg und Siegsbeweise
aus dem von dir vertretenen Reich?

Wo alles sich durch Glück beweist
und tauscht den Blick und tauscht die Ringe
im Weingeruch, im Rausch der Dinge -
dienst du dem Gegenglück, dem Geist.


Mai più solitario -

Mai più solitario che in agosto:
la pienezza dell'ora - per le terre
gli incendi del rosso e dell'oro,
ma il piacere dov'è dei tuoi giardini?

I mari chiari, i cieli teneri,
i campi puri e brillano leggeri,
ma dove sono i trionfi e le prove
del regno che tu rappresenti?

Dove tutto per successo si legittima
e si scambiano lo sguardo e gli anelli
nel profumo del vino e nell'estasi delle cose -
tu servi la sconfitta, servi lo spirito.

Con qualche minima modifica questa è la traduzione di Giuliano Baioni di una poesia di Gottfried Benn che si legge nelle Statische Gedichte (Poesie statiche), la sua più importante raccolta del secondo dopoguerra.
Certo, la solitudine del primo verso si comprende in tutta la sua portata soltanto con l'ultima parola, spirito: "Einsamer Geist" - un riassunto che varrebbe come omaggio a tutta l'ermeneutica del Novecento fondata sullo Zirkel (si leggerà, con senso leggermente diverso, Ring, "anello", nell'ultima strofa del componimento), sul cerchio, e che ha il suo centro fondante nel Nietzsche tanto amato da Benn, quello dell'ewige Wiederkehr, l'Eterno Ritorno circolare.
Ma si tratta di una Einsamkeit non altezzosa, quanto più (trattandosi di un servizio - "dienst du..." dell'ultimo verso) di una "nobile intrapresa", di una solitudine da ascriversi alla Vornehmheit (il referente verbale è vornehmen, dunque nehmen non tanto nel senso di "prendere, afferrare", quanto precipuamente nel senso di der Geist auf sich nehmen, quasi "assumersi la responsabilità dello spirito"). Si corre presto a Eckhart, alla Vornehmheit des Geistes che significa "nobiltà dello spirito", quindi un servizio nei confronti dello spirito da praticare con umiltà, ma che per Benn vuol dire sconfitta nella prova, e leggendo letteralmente, un "rovescio di fortuna", Gegenglück.
Ma Eckhart riesce illuminante anche in un ulteriore confronto lungo tutto il corso della poesia di Gottfried Benn. Si legga questo passo del sermone "Intravit Iesus in quodam castellum et mulier quedam, Martha nomine, excepit illum in domum suam":
Ho anche detto spesso che c'è nell'anima una forza che non è toccata né dal tempo né dalla carne; essa fluisce dallo spirito e permane nello spirito, è assolutamente spirituale. In questa forza Dio verdeggia e fiorisce incessantemente in tutta la sua gioia e dolcezza.
È una gioia così intima e così ineffabilmente grande, che nessuno è capace di esprimerla pienamente. Infatti l'eterno Padre genera incessantemente il suo eterno Figlio in questa potenza, in modo tale che essa coopera alla nascita del Figlio e di sé stessa, quale medesimo Figlio nell'unica potenza del Padre. Se un uomo possedesse tutto un regno o tutti i beni della terra e li abbandonasse puramente per Dio, divenendo uno degli uomini più poveri che vivono sulla terra, e se poi Dio gli desse tanto da soffrire quanto abbia mai dato ad un uomo, se egli soffrisse tutto ciò fino alla morte e Dio gli lasciasse gettare una sola volta uno sguardo su ciò che egli è in questa forza, allora la sua gioia sarebbe così grande che tutta questa sofferenza e questa povertà sarebbero state ben piccola cosa. Sì, anche se Dio non gli concedesse mai il paradiso, egli avrebbe nondimeno ricevuto una ricompensa molto grande per tutto quello che aveva sofferto; Dio è infatti in questa forza come nell'eterno presente. [...] C'è ancora un'altra forza che è incorporea, fluisce dallo spirito e permane nello spirito, ed è assolutamente spirituale. In questa forza Dio arde e splende incessantemente con tutta la sua ricchezza, con tutta la sua dolcezza e la sua gioia. In verità, in questa forza Dio stanno una gioia tanto grande ed un così immenso incanto, che nessuno è capace di parlarne o rivelarlo completamente. Lo dico ancora una volta: se qualcuno potesse là comtemplare per un istante con il proprio intelletto secondo verità le gioie e l'incanto che vi è contenuto, tutto quel che potrebbe soffrire e tutto quel che Dio volesse fargli soffrire, tutto ciò sarebbe per lui poca cosa, o nulla di nulla. Dico di più: ciò sarebbe per lui assolutamente una gioia ed una soddisfazione.
Allora appare chiaro a cosa si riferisca Benn quando nel secondo verso dice Erfüllungsstunde, poichè quella Erfüllung è in realtà un "adempimento", la "realizzazione" di una promessa di gioia e di felicità, per seguire Eckhart: dinanzi a questo compimento le parole cedono il passo ("nessuno è capace di parlarne") alla contemplazione ammirata del paradiso, al Gärten Lust ineffabile. La traccia visibile, tangibile di questa Erfüllung che Benn evoca è nel Brand, nell'incendio divino (Eckhart ha due sinonimi, brennen e glänzen - come glänzen userà qualche verso più sotto Benn) della forza dell'amore; e non è un caso che i colori usati dal poeta siano due fra i più ricchi di simbolismo della cristianità, il rosso e l'oro, la "forza" appunto e la "potenza" di Dio.
In effetti paradisiaca è l'intera descrizione della seconda strofa nei primi due versi (vi si leggono tre inequivocabili aggettivi, hell, "chiaro, luminoso", weich, "tenero, morbido" e leise, "leggero, delicato", oltre che il profondo rein, "puro"), e paiono tolti direttamente dal libro della Genesi i vari Seen, Himmel, Äcker. Per contrasto quindi si legge la richiesta di mostrare la Erfüllung, la pienezza raggiunta nel vertreten ("rappresentare", ma anche "difendere") il Reich, il Regno, di certo anche quello dei cieli. Si chiede che la vittoria, Sieg, sia palese e "lampante" e che vi sia un segno della vittoria, un Beweis che consenta di riconoscere il Regno (dunque si chiede un segno di Weisheit, "conoscenza" più "saggezza"). Ma il Reich è lo stesso a cui si richiama Eckhart mettendone in luce tutta la nullità in confronto con la gioia che promana da Dio: "Se un uomo possedesse tutto un regno o tutti i beni della terra e li abbandonasse puramente per Dio...", e Benn si prepara già a dichiarare anch'egli una nullità in questo regno.
L'Erfüllung della gioia del Regno si può perdere facilmente, senza capire perchè: così capita al giusto penitente di Eckhart ("se Dio gli desse da soffrire tanto da soffrire quanto mai abbia dato ad un uomo"), capita a Giobbe e ad ognuno - ma ciò perchè "alles sich durch Glück beweist", ogni cosa ha il suo fondamento, la sua prova e la sua dimostrazione nella Fortuna, che è mutevole, cedevole. Viene meno dunque la fiducia in Dio, e con essa la capacità di confronto sereno e si direbbe paritario con la divinità, poichè viene meno il Blick, lo sguardo; ma anche il patto di alleanza, il Ring fiducioso nell'onestà delle parti. Nella discesa dal paradiso, nella perdita della pienezza, lo scambio che si compie è quello verso l'ebbrezza del mondo: ci si perde nel "profumo di vino" e nell'estasi, Rausch (non a caso in rimalmezzo con Tausch, "scambio") der Dinge, l'estasi delle cose.
La Weisheit di cui l'uomo godeva nel Paradiso è perduta irreparabilmente (perchè non si conosce la ragione della cacciata, dunque della sofferenza inflitta all'uomo): arriva il Gegenglück, il colpo contrario della Fortuna, ben poco stabile fondamento, in fondo; ed è una sconfitta. Una sconfitta che però non afflige poi pesantemente l'umanità, se questa com'è fisiologico, s'abbandona all'estasi delle cose del mondo e del vino, alla sbornia che aiuta a ottenere una felicità perduta (pare di risentire il Nietzsche dello Zarathustra: "Un po' di veleno di tanto in tanto: procura sogni piacevoli. E molto veleno alla fine, per una morte piacevole").
Il Gegenglück colpisce violentemente chi rimane in servizio dello spirito, in realtà chi si assume lo spirito: il Vornehm che come lo Zarathustra di Nietzsche è un solitario perchè ha preso su di sé il Geist, e nel momento della pienezza dell'anno, agosto, sente più che altrimenti la sua estraneità al mondo e agli uomini - einsamer nie.