Come fin dall'antichità vi sono state artes che cercavano di chiudere il limite di molti (forse, tutti) gli argomenti humaniores, e si è passati quindi dalle arti della parola a quelle della cucina fino a quelle della guerra e a quelle della bellezza ornata dal trucco, così i secoli a noi più vicini ci hanno lasciato nuove e ardite arti - perfino contro l'arte stessa, intesa come techne, modalità di raggiungere uno scopo in maniera ordinata e riproducibile.
Se la retorica è stata assieme alla guerra quella più affrontata, il barocco forse ha portato alle estreme conseguenze un piano logicamente ineccepibile che veniva dai Sofisti: chiudere e aprire il piano della menzogna, dedicare al "nulla contro la realtà" il valore del pieno di una realtà possibile - un mondo possibile, direbbero oggi i semiologi - come se ci si trovasse davanti ad hegeliani avant lettre che spiegano che Tutto ciò che è razionale è reale.
Eppure la menzogna, banalmente - non pretendo chissà quali profondità di pensiero - si impone nella strenuità della sua difesa, come altro possibile; se raggiunge - ovviamente con l'arte - livelli di grande coerenza architettonica, si impone come variante logica, costruzione del mondo. Ma quel mondo non è abitato da nessuno, se non dal desiderio.
Allora è il coinvolgimento nel desiderio il punto di valore e forza di una buona menzogna: nulla di cinico, nulla più di cattivo (nel senso di prigioniero di un modo di ragionare) nei confronti degli ignari - questi, se non sono scaltriti, rimangono impermeabili alla menzogna creativa: passa loro accanto, magari vive dentro di loro, ma solo come una verità spenta, immiserita, non reattiva.
Coinvolgere nel desiderio si può quando sia possibile scandagliare il potere del sogno: non tanto utopia, costruzione anche "politica"; ma soprattutto spiegamento di altre costruzioni che non escono dallo spazio dello spirito.
Questo sarebbe un tardivo e inefficace elogio della letterarietà della menzogna, ma vorrebbe arrivare anche a lambire un elogio dell'immaginazione mistica di cui parlava Henri Corbin, e toccare anche la creatività matematica citata spesso da Jean Dieudonné, e una teoria della metafora come "conoscenza orizzontale del mondo" che viene da Emanuele Tesauro e arriva fino ai modelli reticolari della conoscenza che adesso informano di sé (in vario modo), le "ontologie" di cui si nutre sempre più il Web 2.0 e il già annunciato 3.0, ancor più semantico, ancor più desiderabile e forse ancor più menzognero.
Se la retorica è stata assieme alla guerra quella più affrontata, il barocco forse ha portato alle estreme conseguenze un piano logicamente ineccepibile che veniva dai Sofisti: chiudere e aprire il piano della menzogna, dedicare al "nulla contro la realtà" il valore del pieno di una realtà possibile - un mondo possibile, direbbero oggi i semiologi - come se ci si trovasse davanti ad hegeliani avant lettre che spiegano che Tutto ciò che è razionale è reale.
Eppure la menzogna, banalmente - non pretendo chissà quali profondità di pensiero - si impone nella strenuità della sua difesa, come altro possibile; se raggiunge - ovviamente con l'arte - livelli di grande coerenza architettonica, si impone come variante logica, costruzione del mondo. Ma quel mondo non è abitato da nessuno, se non dal desiderio.
Allora è il coinvolgimento nel desiderio il punto di valore e forza di una buona menzogna: nulla di cinico, nulla più di cattivo (nel senso di prigioniero di un modo di ragionare) nei confronti degli ignari - questi, se non sono scaltriti, rimangono impermeabili alla menzogna creativa: passa loro accanto, magari vive dentro di loro, ma solo come una verità spenta, immiserita, non reattiva.
Coinvolgere nel desiderio si può quando sia possibile scandagliare il potere del sogno: non tanto utopia, costruzione anche "politica"; ma soprattutto spiegamento di altre costruzioni che non escono dallo spazio dello spirito.
Questo sarebbe un tardivo e inefficace elogio della letterarietà della menzogna, ma vorrebbe arrivare anche a lambire un elogio dell'immaginazione mistica di cui parlava Henri Corbin, e toccare anche la creatività matematica citata spesso da Jean Dieudonné, e una teoria della metafora come "conoscenza orizzontale del mondo" che viene da Emanuele Tesauro e arriva fino ai modelli reticolari della conoscenza che adesso informano di sé (in vario modo), le "ontologie" di cui si nutre sempre più il Web 2.0 e il già annunciato 3.0, ancor più semantico, ancor più desiderabile e forse ancor più menzognero.
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