Chi non ha ragionato e discusso su Benedetto XVI dalla tarda mattinata di ieri, o non si cura degli affari del Mondo (quello vero) vivendo chissà forse soltanto di giochini e canzoncine, o è purtroppo tanto povero e in affanno da poter dare il giusto peso ad ogni questione, compresa questa che è in verità storica. Ma si sa, la Storia spesso passa sopra le teste dei minimi quasi senza lasciare tracce.
Gli altri si sono schierati, pro o contro il Papa, con la consueta partigianeria: ogni occasione è buona per non stare sul tema e affastellare le accuse giuste e quelle che lo sono meno. Di tutto si può e si deve far critica e sano costruttivo giudizio (ve n'è una giustificazione nel Vangelo, lo dico a favore degli atei), ma rinverdire la pesante durissima giustissima accusa verso la questione della pedofilia, o verso le posizioni in materia sessuale o dei diritti delle coppie o di tutte le altre materie contese, proprio ieri e oggi, non è tanto sbagliato in sé, ma di sicuro poco pertinente verso il tema centrale della rassegnazione del mandato papale.
Perché la questione è in realtà centrale nella dimensione del riposo.
Tale tema è in fondo comprensibilmente messo in ombra, nel nostro tempo, ed anche istituendo un confronto con il precedente Sommo Pontefice.
Se da un lato interno si riverbera ancora la luce di una presenza muscolosa e granitica perfino nella sofferenza degli ultimi anni di vita di Giovanni Paolo II, il contrasto con Benedetto ne esce ancor più a tinte forti e accese: il Papa polacco dotato di carisma e comunicatività sia negli interminabili frequentissimi viaggi pastorali, sia nelle Giornate della Gioventù, sia nelle Vie Crucis tremanti o nel silenzio degli ultimi mesi di malattia e di vita terrena; il Papa tedesco dedito in maniera polarmente opposta ad un timido raccoglimento anche di fronte alle masse di ragazzi di quelle stesse Giornate, o alle Udienze Generali. Il polacco dunque figura di Marta, il tedesco figura di Maria: tornerò sull'allegoria.
Ma dal lato esterno, non siamo più abituati a fare i conti con il riposo nemmeno nella società e nelle immagini di questa che la cultura di massa crea, diffonde ed impone per forza di ripetizione ed iperinformazione: la vecchiaia è scacciata, nascosta, spostata, cancellata e irrisa. Essa non arriva quasi mai, e non sono queste righe le più adatte ad affrontare questo tema capitale: lo do per conosciuto attraverso tante riflessioni di sociologi, psicologi, poeti, e dalla quotidiana esperienza del senso comune.
Eppure è la questione del riposo quella che ogni estate proprio i Papi sottolineano durante le vacanze: un argomento noto quindi, o almeno dovrebbe esser tale.
Perché sia mancata subito una riflessione di questo tipo ieri non è tanto un segnale del lavaggio dei cervelli che i media starebbero (forse stanno) compiendo, quanto invece della portata davvero epocale e straniante e perturbante del gesto di Benedetto XVI.
Va indagata una dimensione teologica del riposo che non esclude le letture politiche, sociali o di qualsiasi altro tipo per la scelta del Sommo Pontefice, ma che credo proprio nel suo caso sarebbe una fra le letture da compiere più delicatamente e profondamente.
Qualche anno fa padre Enzo Bianchi (priore della Comunità di Bose) scrisse una riflessione su questo tema intitolata
Il riposo di Dio e dell'uomo, ed è tornato fino al 30 aprile 2012 a ragionare di questo con un articolo su
La Stampa (che
si legge qui): io non ripercorrerò le argomentazioni di padre Bianchi, ma accennerò solo lo spunto di una interpretazione.
Il Vangelo di oggi 12 febbraio 2013 propone la Prima Lettura dal libro della Genesi 1,20-31.2,1-4a, che termina con queste parole:
Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.
Si può forse dire ed affermare che Dio Padre abbia sentito la dimensione della stanchezza?
Non per sé, evidentemente: mentre è giusto trovare l'esaltazione del riposo come compimento dell'opera che si ritroverà nel comandamento di santificare le feste, vale a dire rendere santa e sacra la gioia dopo il lavoro. Ma perché mostrare la giustezza del riposo direttamente da parte di Dio, e non affidarlo alla storia sacra dell'Uomo, cui invece tocca la fatica continua del lavoro, come ad Adamo e ai suoi discendenti?
Perché il compimento del lavoro che viene onorato col riposo è un compimento nel vuoto colmo della gratitudine e della Grazia, vale a dire una esaltazione (anche filosofica, se vogliamo) del silenzio creativo che solo ed unico permette la comprensione del messaggio creativo: le filosofie del linguaggio e che si sono interrogate sul Linguaggio, anche sacro, abbondano su questo tema di riflessione.
Dunque il riposo non è abbandono di volontà ma pienezza di scelta nel comprendere il limite: la finitudine che Dio Padre mostra è già a favore dell'Uomo, perfino nell'opera della creazione universale.
Perciò il riposo non è assenza di forze ma giusta considerazione delle forze e dell'impegno: e sulla forza, anche fisica, l'altro culmine teologico può aiutare a chiarire un'interpretazione teologica del gesto di Papa Benedetto.
Si può forse dire che Gesù sul Golgota stia abbandonando la sua Croce, nel momento in cui cade e viene infine aiutato da Simone di Cirene? È questa forse una deminutio della sua opera di salvezza?
Non voglio ripercorrere le dispute scolastiche, ma credo proprio che l'umanità sofferente di Cristo che viene aiutata nel sollevare e trasportare la Croce sia invece esaltata da questo gesto di inconsapevole cooperazione, che è giusta proprio nella misura in cui il completamento è di nuovo affidato a Dio Figlio che su quella Croce patisce. Non aveva forse chiesto Gesù che quel calice amaro passasse da Lui, nell'Orto degli Ulivi? Eppure è pronto ad accettare la scelta e la decisione della volontà del Padre, e a compierla.
Dunque il riposo e lo stremo delle forze sono in strettissima relazione: nel Vangelo di Marco 6, 30-34 si legge
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Agli Apostoli vien detto e consigliato di riposare, ed è Gesù, il Capo della Chiesa, che alla vista dei tanti bisognosi, durante il riposo dei suoi pastori offre il suo conforto anche senza il loro aiuto e la loro collaborazione: essi ovviamente torneranno a predicare e a riempire una sede vacante temporaneamente.
Avevano infatti compiuto una parte della loro opera ("gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato"), e dovevano riflettere sulle loro azioni e ritemprare le forze ("erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare").
Torna quindi con forza un dilemma: l'azione efficace è solo quella che viene compiuta fisicamente, o non vi è forse anche altrettanto valore, agente in maniera diversa, nella preghiera? Perciò, riprendendo l'allegoria di qualche riga sopra, ha più valore l'affannarsi coscienzioso e santo di Marta, intenta a sistemare casa, pulire, cucinare, accogliere Gesù concretamente; o quello tutto intento alla persona di Gesù nella preghiera dell'abbraccio della sorella Maria?
La risposta di Gesù nel Vangelo è per Maria e non per Marta, ed una giustificazione sarebbe da trovare con l'analogia degli Apostoli che hanno il diritto di esser lieti fin quando lo Sposo è con loro: Marta, così come gli Apostoli, non sono sminuiti nel loro lavoro, tutt'altro; ma si indica solo come alle opere si possa e si debba porre un limite, che è quello da dedicare alla contemplazione ed alla preghiera, al vero riposo dunque.
Perché non dovrebbe quindi un Papa riposarsi dopo aver compiuto una parte della sua opera?
È forse un modo di disperare del conforto divino nella sua vita o nella sua azione pastorale? Ma chi può dire di aver compiuto realmente tutto, se non Dio? Non sarebbe altrimenti presuntuoso chi pretendesse di aver fatto tutto, o non seguisse il dettame che impone di pregare non solo in patiendo ma anche in orando, vale a dire non solo con la sofferenza ma anche con la preghiera contemplativa?
Uno dei libri più mistici e ardui e dolci della Bibbia, il Cantico dei Cantici, non parla forse del riposo dei due amanti dopo le corse e gli incontri amorosi? E in uno dei Salmi non si legge "in pascoli erbosi mi fai riposare"?
Perché dovrebbe essere più eroica la dimensione di Giovanni Paolo II rispetto a quella scelta da Benedetto XVI? E perché più giusta e condivisibile quella piuttosto che questa della rassegnazione?
Non dice forse, alla fine delle sue forze Gesù al Padre "In manus tuas Domine commendo spiritum meum"?
Qualsiasi cosa si pensi quindi di Papa Benedetto, lo si esamini anche da questo punto di vista e si sciolgano anche i dubbi teologici insiti nel suo comportamento, se ve ne sono.