Se per Itaca volgi il tuo viaggio, / fai voti che ti sia lunga la via, / e colma di vicende e conoscenze... (Konstantinos Kavafis)

domenica 8 giugno 2008

Ernst Jünger: la memoria della felicità

Voi tutti conoscete la selvaggia tristezza che suscita il rammemorare il tempo felice: esso è irrevocabilmente trascorso, e ne siamo divisi in modo spietato più che da quale si sia lontananza di luoghi. Le immagini risorgono, più ancora allettanti nell'alone del ricordo, e vi ripensiamo come al corpo di una donna amata, che morta riposa nella profonda terra e che simile a un miraggio riappare, circonfusa di spirituale splendore, suscitando in noi un brivido di sgomento. Sempre di nuovo ritroviamo negli affannosi sogni il passato, in ogni suo aspetto, e come ciechi brancoliamo verso di esso. La coppa della vita e dell'amore ci sembra non esser stata colma sino all'orlo, per noi, e nessuno rimpianto vale a ridonarci tutto ciò che non abbiamo avuto. Oh, fosse questa tristezza almeno d'insegnamento per ogni nuovo attimo di felicità!

Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria

Infandum, regina, iubes renovare dolorem
("Regina, un dolore che non dovrebbe esser ridetto mi imponi di dire")

Tu vuoi ch'io rinnovelli
disperato dolor che 'l cor mi preme

Nam in omni adversitate fortunae infelicissimum est genus infortunii fuisse felicem
("Infatti, fra tutte le difficoltà del destino la più infelice è quella di chi è stato felice")

Questi brani vengono (in ordine) dall'incipit di uno dei più luminosi romanzi di Ernst Jünger, Auf der Marmorklippen (in Italia è pubblicato da Guanda col titolo "Sulle scogliere di marmo"), dal Canto V della Commedia di Dante Alighieri (vv. 121-123), dal Libro Secondo dell'Eneide di Virgilio (v. 3), dal Canto XXXIII della Commedia (vv. 4-5), e dal Libro Secondo della Consolatio Philosophiae di Severino Boezio (cap. 4, par. 2).
Basterebbe solo l'indicazione per leggere il percorso dell'idea dal mondo classico di Virgilio alla filosofia tardo-antica e feconda per il Medioevo di Boezio fino a Dante, e per dire quanto sia presente anche in un lettore coltissimo e raffinatissimo come è stato Jünger - e le parole sarebbero infatti, inutili, se non si potesse ritrovare anche altro nello scrittore tedesco, una dimensione classica che lo apparenta anche a Kostantinos Kavafis (leggi questo post).
La dimensione dell'amore lega e circonfonde (per usare un termine del romanzo) l'apertura di Auf der Marmorklippen come in una atmosfera greca, un'anfora pronta per raccogliere le libagioni da offrire ad una giovane morta - viene in mente il Leopardi di Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, con la dolcezza smisurata dell'inizio:

Dove vai? Chi ti chiama
lunge dai cari tuoi,
bellissima donzella?


Noi sappiamo che lì il discorso è sulla imperscrutabile rete del destino che avvolge le esistenze degli uomini; ma potremmo pensare anche ad atmosfere diversamente leopardiane e poi novecentesche - e Jünger ne è ancora il filtro, il collettore ultimo.
Non è un caso che in questo luminoso romanzo la vicenda si avvii allo snodo conclusivo con queste parole, che ripercorrono nuovamente la memoria e il suo statuto costitutivo della letteratura e dell'Essere:

Attraverso le ombre del fumo mi sembrò di intravedere più volte l'ombra del mostro, ma sempre troppo fuggevole per aver agio di colpirlo. Inoltre, nel vortice, false immagini mi trassero in errore, sicché infine mi vidi sperduto nella selva. E udii un fruscio e il pensiero m'intimorì che la fiera mi avesse aggirato per assalirmi alle spalle. Per esser sicuro da tal pericolo m'inginocchiai sul terreno, tenendo presso di me il fucile e avendo alle spalle, per difesa, un roveto.

Una moderna spada - il fucile - un roveto per difesa, una selva e un mostro: la condizione novecentesca per un novello Parsifal, o un novello Mosè; forse un poeta, un letterato, un homo europaeus in preda al singolare contrappasso di ricordarsi di sé stesso sapendo che non troverà più la coppa della vita piena.

venerdì 6 giugno 2008

Modernità di Apollonio: la "poesia" come salvezza e il Montale "argonautico"

Μνώεο μήν, ἀπεών περ ὁμῶς καὶ νόστιμος ἤδη,
Ὑψιπύλης· λίπε δ'ἧμιν ἔπος , τό κεν ἐξανύσαιμι
πρόφρων, ἢν ἄρα δή με θεοὶ δώωσι τεκέσθαι
Ricordati dunque di Issipile, anche lontano, anche quando
sarai ritornato, e lasciami una parola, ch'io possa seguire con tutto il mio cuore,
se gli dei mi concedono di dare alla luce un tuo figlio(vv. 896-898, trad. Guido Paduano)

Nel Libro Primo delle
Argonautiche di Apollonio Rodio, la regina dell'isola di Lemno, Issipile figlia di Toante, così dichiara il suo amore a Giasone, capo della spedizione eroica che dovrà prendere nella Colchide il vello d'oro per donarlo al re Pelia.
Giasone, come sarà Enea con Didone (vedi questo post precedente), è costretto ad abbandonare la reggia lemnota per continuare - di malavoglia e con grandi dubbi - il suo viaggio:
μοῦνόν με θεοὶ λύσειαν ἀέθλων

purché gli dei mi liberino da quest'impresa
eppure la regina cerca un contatto, un'ancora alla quale aggrapparsi nella speranza di salvare l'isola che regge e governa dall'infelice destino dell'annientamento e della morte - le donne di Lemno sono vittime dell'ira di Venere, che ha spinto i loro mariti a tradirli per delle schiave tracie, e che ha indotto loro, le mogli lemnote, a uccidere i coniugi. Un'isola senza futuro, quindi - ecco perchè la speranza del possibile miracoloso figlio da Giasone.
Sarà la
parola, da seguire con tutto il cuore, a dare la speranza: è il compito della poesia - capace di mutare la storia e il destino -, che subito viene smentito dallo stesso modernissimo eroe, drammaticamente impotente contro le forze che lo opprimono e lo legano.
Tanto più moderno Apollonio, se lo si legge in filigrana nei versi di Eugenio Montale di
Non chiederci la parola, uno dei componimenti più famosi di Ossi di seppia:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Nemmeno da questo moderno Giasone nasce nulla, anche qui l'unico risultato è un'esclusione, un limite negativo,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
come sarà quello dichiarato da Apollonio per mezzo del suo eroe, che sposta in un incerto futuro la soluzione alla richiesta di impegno di Issipile, alla sua speranza:
Εἰ δ'οὔ μοι πέπρωται ἐς Ἑλλάδα γαῖαν ἱκέσθαι
τηλοῦ ἀναπλώοντι, σὺ δ'ἄρσενα παῖδα τέκναι
,
πέμπε μιν ἡβήσαντα Πελασγίδος ἔνδον Ἰωλκοῦ
πατρί τ'ἐμῷ καὶ μητρὶ δύης ἄκος, ἢν ἄρα τούς γε
τέτμῃ ἔτι ζώοντας

Ma se non sarà destino ch'io torni in terra di Grecia,
ma navighi sempre lontano, e tu avrai un figlio maschio,
quando sarà cresciuto mandalo a Iolco pelasga,
che sia conforto nella sventura a mia padre e mia madre
- se li trova ancor vivi -

Dunque una speranza che è destinata a soccombere - modernamente, decadentemente - contro la morte, la vecchiaia, la sfinitezza; non per un atto eroico, ma forse per un più ancora eroico non sapere che Apollonio lascia cadere fino a Montale.

domenica 1 giugno 2008

John Searle e lo specchio: la "Stanza Cinese" e le neuroscienze

Qualche giorno fa su "Repubblica.it" è apparso l'articolo (che si legge a questa pagina) di neurologia fra i più interessanti di queste settimane.
Alcuni ricercatori hanno condotto degli esperimenti con l'ausilio della Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI, functional Magnetic Resonance Imaging) per individuare pattern di connessioni neuronali fra oggetti concreti e l'immagine mentale ad essi collegati - e hanno fatto predire al computer il percorso e le aree del cervello interessate rispetto ad un campione di parole/oggetto concreto non completamente coincidente con quello analizzato in partenza. Insomma, una sorta di previsione del pensiero, condotta con i metodi statistico-probabilistici che consentono ai computer attuali interazioni di larga scala con moli enormi di dati.
Io ho subito pensato (chissà quali aree del cervello mi si sono attivate) ad una sorta di ulteriore esperimento della Stanza Cinese, il famoso argomento ed esperimento mentale proposto e usato da John Searle per criticare le pretese della "teoria dell'intelligenza artificiale forte" (una lunga e articolata voce si legge su Wikipedia a questa pagina, con link verso l'articolo originale di Searle, che è del 1980).
In sostanza (e riassumendo in maniera forse troppo brutale) Searle afferma e argomenta che un computer, essendo un manipolatore di simboli, non sia tenuto ad interpretare ciò che riceve e trasmette per dare l'idea di comprendere effettivamente quel che "dice" - la correttezza della sintassi, e l'adeguatezza comunicativa, non porterebbero dunque ad una effettiva comprensione semantica, quindi al significato di quel che si dice.
Siccome l'esperimento è costruito con l'interazione macchina-uomo (si immagina una conversazione in cinese fra un parlante cinese e un computer adeguatamente istruito), forse una fMRI potrebbe svelarci qualcosa sulla "creazione di significato" nell'uomo - risolvendo il dubbio se sia anche una questione di adattamento da parte dell'uomo che riceve risposte plausibili da parte del computer il fatto che creda di parlare ad un'altra persona.
Non si risolverà forse il problema di come dalle strutture sorga il significato - quindi dalla sintassi si arrivi alla semantica: René Thom e Jean Petitot-Cocorda (a questa pagina una interessante tesi di Henk Verdru che analizza la semiotica di Umberto Eco e la confronta in un capitolo denso, con le posizioni di Petitot-Cocorda) hanno provato con la modellizzazione matematica della teoria delle catastrofi e della morfogenesi del senso - che è il titolo del libro più famoso di Petitot-Cocorda, edito da Bompiani - a dare una visione generale di questa epigenesi del significato, analogamente a quanto avviene in chimica o in biologia.
Almeno però avremo la possibilità, durante l'esperimento anche mentale di Searle, di mettere uno specchio di fronte all'uomo, e osservare le sue reazioni neuronali - chissà che Narciso non spunti fuori con la mano tesa...