Μνώεο μήν, ἀπεών περ ὁμῶς καὶ νόστιμος ἤδη,
Ὑψιπύλης· λίπε δ'ἧμιν ἔπος , τό κεν ἐξανύσαιμι
πρόφρων, ἢν ἄρα δή με θεοὶ δώωσι τεκέσθαι
Ricordati dunque di Issipile, anche lontano, anche quando
sarai ritornato, e lasciami una parola, ch'io possa seguire con tutto il mio cuore,
se gli dei mi concedono di dare alla luce un tuo figlio(vv. 896-898, trad. Guido Paduano)
Nel Libro Primo delle Argonautiche di Apollonio Rodio, la regina dell'isola di Lemno, Issipile figlia di Toante, così dichiara il suo amore a Giasone, capo della spedizione eroica che dovrà prendere nella Colchide il vello d'oro per donarlo al re Pelia.
Giasone, come sarà Enea con Didone (vedi questo post precedente), è costretto ad abbandonare la reggia lemnota per continuare - di malavoglia e con grandi dubbi - il suo viaggio:
μοῦνόν με θεοὶ λύσειαν ἀέθλων
purché gli dei mi liberino da quest'impresa
eppure la regina cerca un contatto, un'ancora alla quale aggrapparsi nella speranza di salvare l'isola che regge e governa dall'infelice destino dell'annientamento e della morte - le donne di Lemno sono vittime dell'ira di Venere, che ha spinto i loro mariti a tradirli per delle schiave tracie, e che ha indotto loro, le mogli lemnote, a uccidere i coniugi. Un'isola senza futuro, quindi - ecco perchè la speranza del possibile miracoloso figlio da Giasone.
Sarà la parola, da seguire con tutto il cuore, a dare la speranza: è il compito della poesia - capace di mutare la storia e il destino -, che subito viene smentito dallo stesso modernissimo eroe, drammaticamente impotente contro le forze che lo opprimono e lo legano.
Tanto più moderno Apollonio, se lo si legge in filigrana nei versi di Eugenio Montale di Non chiederci la parola, uno dei componimenti più famosi di Ossi di seppia:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Nemmeno da questo moderno Giasone nasce nulla, anche qui l'unico risultato è un'esclusione, un limite negativo,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
come sarà quello dichiarato da Apollonio per mezzo del suo eroe, che sposta in un incerto futuro la soluzione alla richiesta di impegno di Issipile, alla sua speranza:
Εἰ δ'οὔ μοι πέπρωται ἐς Ἑλλάδα γαῖαν ἱκέσθαι
τηλοῦ ἀναπλώοντι, σὺ δ'ἄρσενα παῖδα τέκναι,
πέμπε μιν ἡβήσαντα Πελασγίδος ἔνδον Ἰωλκοῦ
πατρί τ'ἐμῷ καὶ μητρὶ δύης ἄκος, ἢν ἄρα τούς γε
τέτμῃ ἔτι ζώοντας
Ma se non sarà destino ch'io torni in terra di Grecia,
ma navighi sempre lontano, e tu avrai un figlio maschio,
quando sarà cresciuto mandalo a Iolco pelasga,
che sia conforto nella sventura a mia padre e mia madre
- se li trova ancor vivi -
Dunque una speranza che è destinata a soccombere - modernamente, decadentemente - contro la morte, la vecchiaia, la sfinitezza; non per un atto eroico, ma forse per un più ancora eroico non sapere che Apollonio lascia cadere fino a Montale.
Ὑψιπύλης· λίπε δ'ἧμιν ἔπος , τό κεν ἐξανύσαιμι
πρόφρων, ἢν ἄρα δή με θεοὶ δώωσι τεκέσθαι
Ricordati dunque di Issipile, anche lontano, anche quando
sarai ritornato, e lasciami una parola, ch'io possa seguire con tutto il mio cuore,
se gli dei mi concedono di dare alla luce un tuo figlio(vv. 896-898, trad. Guido Paduano)
Nel Libro Primo delle Argonautiche di Apollonio Rodio, la regina dell'isola di Lemno, Issipile figlia di Toante, così dichiara il suo amore a Giasone, capo della spedizione eroica che dovrà prendere nella Colchide il vello d'oro per donarlo al re Pelia.
Giasone, come sarà Enea con Didone (vedi questo post precedente), è costretto ad abbandonare la reggia lemnota per continuare - di malavoglia e con grandi dubbi - il suo viaggio:
μοῦνόν με θεοὶ λύσειαν ἀέθλων
purché gli dei mi liberino da quest'impresa
eppure la regina cerca un contatto, un'ancora alla quale aggrapparsi nella speranza di salvare l'isola che regge e governa dall'infelice destino dell'annientamento e della morte - le donne di Lemno sono vittime dell'ira di Venere, che ha spinto i loro mariti a tradirli per delle schiave tracie, e che ha indotto loro, le mogli lemnote, a uccidere i coniugi. Un'isola senza futuro, quindi - ecco perchè la speranza del possibile miracoloso figlio da Giasone.
Sarà la parola, da seguire con tutto il cuore, a dare la speranza: è il compito della poesia - capace di mutare la storia e il destino -, che subito viene smentito dallo stesso modernissimo eroe, drammaticamente impotente contro le forze che lo opprimono e lo legano.
Tanto più moderno Apollonio, se lo si legge in filigrana nei versi di Eugenio Montale di Non chiederci la parola, uno dei componimenti più famosi di Ossi di seppia:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirtiagli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Nemmeno da questo moderno Giasone nasce nulla, anche qui l'unico risultato è un'esclusione, un limite negativo,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
come sarà quello dichiarato da Apollonio per mezzo del suo eroe, che sposta in un incerto futuro la soluzione alla richiesta di impegno di Issipile, alla sua speranza:
Εἰ δ'οὔ μοι πέπρωται ἐς Ἑλλάδα γαῖαν ἱκέσθαι
τηλοῦ ἀναπλώοντι, σὺ δ'ἄρσενα παῖδα τέκναι,
πέμπε μιν ἡβήσαντα Πελασγίδος ἔνδον Ἰωλκοῦ
πατρί τ'ἐμῷ καὶ μητρὶ δύης ἄκος, ἢν ἄρα τούς γε
τέτμῃ ἔτι ζώοντας
Ma se non sarà destino ch'io torni in terra di Grecia,
ma navighi sempre lontano, e tu avrai un figlio maschio,
quando sarà cresciuto mandalo a Iolco pelasga,
che sia conforto nella sventura a mia padre e mia madre
- se li trova ancor vivi -
Dunque una speranza che è destinata a soccombere - modernamente, decadentemente - contro la morte, la vecchiaia, la sfinitezza; non per un atto eroico, ma forse per un più ancora eroico non sapere che Apollonio lascia cadere fino a Montale.
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