Ho ascoltato Julia Kent ieri sera, dal vivo al Teatro Romano di Catania come primo evento della rassegna Efestiade, ed il suo concerto è stato sin troppo breve per la fame di note mia e del pubblico.
Julia è stata prodiga di comunicazioni via Twitter prima e dopo lo spettacolo verso noi che la sollecitavamo ad uscire dalle quinte, e poi a concederci almeno un bis, ma il caldo catanese ha avuto la meglio e noi ci siamo goduti la memoria delle sue note perfettamente in linea con l'ambientazione del suo concerto.
Ben pochi fra gli studiosi sono riusciti sinora a ricostruire cosa fosse realmente e come suonasse la musica antica greca e romana: la mancanza pressoché totale di testimonianze materiali non solo rende difficile immaginare i contenuti, ma ancor più improbabile qualsiasi filologia che voglia occuparsi di prassi esecutiva, ovviamente.
I tentativi sono tutti fortemente indiziari e personali: allora forse si può avere la libertà di usare altri strumenti conoscitivi per risalire ad un presunto (finora sconosciuto) modo antico di suonare.
Julia Kent, che tiene i suoi concerti in perfetta solitudine col suo violoncello, sarebbe allora una rodiese, nel senso della retorica classica: una mistura sapiente di elementi ritmici articolati, di sovrapposizioni sonore (come non pensare a David Darling e alle sue sovraincisioni col violoncello, proprio come la Kent), ed una tecnica esecutiva asciutta, dove su un'ora di musica la mano sinistra ha suonato il vibrato per meno di cinque minuti.
Asiani, Atticisti e Rodiesi si contrapponevano in un mondo dove la retorica (i colores rhetorici di Quintiliano, il grande sistematore dell'età imperiale) interessava filosofi, maestri e professionisti, politici, forse anche un pubblico più largo di intenditori e amatori o i semplici curiosi durante le esibizioni nelle piazze.
Gli Asiani strabiliavano in un modo che, modernamente, assoceremmo al Barocco: toni caricati, forti escursioni vocali proprio come fosse musica, virtuosismi con le parole al modo dei poeti. Gli Atticisti, invece, asciutti e misurati, senza eccessi di alcun genere, amanti della chiarezza e dell'ordine al punto da sembrare sin troppo concisi, stringati: se non prendessero il nome dall'Attica e da Atene, li si sarebbe definiti spartani nel modo di porgere le parole ed i discorsi, laconici appunto.
Infine i Rodiesi: capaci di servirsi dei vari strumenti senza eccedere, delle parole nuove e del tono di voce senza esagerare, delle pause e della musicalità senza turbare gli animi e senza quello scopo, pronti a stimolare, a coinvolgere con la naturalezza, che è fatta dall'arte, sempre. Demostene, per capirci: e fra i romani, Cicerone.
È capitato così ieri sera con Julia Kent che il suo violoncello fosse contornato, spazialmente, dai suoni ambient dell'acqua leggera frusciante diffusi dagli altoparlanti e che venisse il dubbio, nel Teatro Romano fascinoso nel buio, che fosse proprio la piccola zona dell'orchestra sotto la cavea, sommersa dall'acqua, a risuonare. Poteva capitare altrove, in un'altra location come si usa dire, di avere una consonanza simile?
Ma lo scopo della violoncellista non era quello di tentare la via greca per il suo concerto catanese: ovvio che sì, ma proprio qui si mostra la capacità di lettura dei luoghi da parte di un'artista.
Live electronics, sovraincisioni, suoni ambient, la consistenza vetrosa del violoncello amplificato, strutture minimaliste con una forte propensione ritmica piuttosto che verso un impasto armonico o una costruzione melodica da canone o da fuga: in un Teatro Romano con gradinate in legno e parti originali in pietra, non sono questi gli elementi di una mescolanza di stili e generi sullo stile rodiese, dove a prevalere è la condivisione emotiva con il pubblico?
Se i nomi citati si son fatti grossi, Julia Kent non scompare nel paragone: ci ha lasciato anzi l'appetito per riascoltarla piacevolmente, magari ancora in una cornice dall'acustica non da studio di registrazione (Asiana) né da concerto dei Rasputina (il suo vecchio gruppo di soli violoncelli, Atticista), ma straordinariamente consona e armonica e veramente greca come il rodiese Teatro Romano di Catania.
Se i nomi citati si son fatti grossi, Julia Kent non scompare nel paragone: ci ha lasciato anzi l'appetito per riascoltarla piacevolmente, magari ancora in una cornice dall'acustica non da studio di registrazione (Asiana) né da concerto dei Rasputina (il suo vecchio gruppo di soli violoncelli, Atticista), ma straordinariamente consona e armonica e veramente greca come il rodiese Teatro Romano di Catania.
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